|
|
|||||
Psicologia del supereroe di Danilo Puce
Non sono affatto migliori di noi. Anzi. Non sono (come spesso crede chi ha solo una lettura superficiale della loro anima) degli dèi superiori a noi semplici esseri umani, che accorrono a salvarci non appena facciamo fiammeggiare un segnale nel cielo, o mandiamo messaggi di soccorsi ad un orologio. Forse Superman lo è, una creatura quasi divina, piovuta dal cielo per tutelare la vita degli esseri umani che osserva dall'alto del suo volo. Ma per il resto sono come tutti noi, "Supereroi con superproblemi" li definiva Stan Lee. Simili a noi, vicini a noi, esattamente come noi, o forse anche peggio. Come noi sono nevrotici, ansiosi, maltrattati e calpestati, come noi si muovono in un mondo pieno di crudeltà, in una vita di spaventose pieghe e spesso piacevoli imprevisti, come noi vivono con la bile acida nello stomaco che ci colpisce quando veniamo denigrati, rifiutati, o subiamo un lutto. Dei semplici esseri umani, in più sfigati. Allora, ci si chiede, cosa ci spinge a guardarli con tanta ammirazione, ad essere assetati delle loro avventure? Il lettore non ha certo voglia di guardare una vita identica alla sua sputata su sei vignette ad ogni tavola. E allora? Allora ciò che penso io, è che sia tutto un fatto di catarsi. Chi non ama i fumetti troverà questo paragone assurdo, azzardato, blasfemo, ma secondo me non è del tutto sbagliato ragionare sul fatto che nell'Antica Grecia, patria del teatro, lo spettatore vedeva sulla scena passioni e sentimenti proprie della sua vita di tutti i giorni, quali l'amore, il tradimento, la tristezza, la guerra…Eppure i protagonisti delle tragedie compivano azioni esagerate, venivano portate alla perdita totale della razionalità ed a risolvere i mali estremi con gli estremi rimedi. E così lo spettatore, osservando cosa accadeva al protagonista, come esso reagiva alla vita di tutti i giorni, si purificava, rifletteva sulle conseguenze che molti nostri gesti comportano. Mi spiego meglio. Quando la donna, tradita dal marito, che portava dentro di sé la profonda rabbia e desideri di vendetta, andava a Teatro, osservava come Medea reagisse al tradimento di Giasone, uccidendo i figli avuti insieme. In questo modo capiva che forse meditare vendetta non poteva portare altro che guai. Che forse fare ciò che Medea aveva fatto era sbagliato. E si purificava, in lei l'animo si placava del tutto, ma soprattutto CONDIVIDEVA i propri sentimenti con qualcun altro, che, seppur fosse un personaggio di finzione, era forse l'unico che poteva capirlo appieno. Dopo questo breve excursus, sul quale è opportuno riflettere, proviamo a paragonare tali idee a quella che è la realtà degli "eroi in costume". Essi sono simili a noi, si è detto, ma è più opportuno evidenziare la frase con la quale ho esordito. Non sono affatto migliori di noi. Anzi. Sono peggio. Sono infatti persone che come noi hanno sofferto, pianto, si sono arrabbiati, hanno maledetto il destino, hanno provato rancore, sono stati traditi…Ma loro, al contrario di noi, hanno reagito. Nel modo giusto? Chi può dirlo. Sta di fatto che sono impazziti. Come altro si può definire una persona che si muove in costume, rischiando in modo masochistico la propria vita per un mondo che forse li odia, o forse è da loro odiato? Attenzione bene, sono impazziti, ma non in modo negativo o malvagio, bensì nel senso di "pazzia" come una fuga dagli schemi della realtà e delle regole quotidiane, che di certo non comportano di cucirsi calzamaglie per calarsi dai muri di New York, o di diventare uomini pipistrelli… Diventano
supereroi, ma non solo per proteggere il Bene e sconfiggere il Male, in un
Mondo dove la differenza fra Bene e Male è una sottilissima linea,
nessuno è mai puro bene e nessuno puro male. Coprono poi il loro volti con una maschera, ma davvero per non essere riconosciuti? O forse perché (metafora magistralmente usata ne "Il signore delle Mosche") un uomo è libero dagli schemi solo quando ha il viso coperto? Quando nessuno li riconosce, i supereroi sono liberi, liberi di fare ciò che a loro più piace, di dire ciò che vogliono vincendo la timidezza e la paura, sapendo di essere protetti e celati dietro una maschera. Una maschera… "Se ti senti ferito, legatela al dito, e se la vita ti fa il mazzo, non diventare saggio, diventa pazzo" recita il Joker in uno dei più begli episodi di Batman. Lo stesso Uomo Pipistrello viene rimproverato, in quell'episodio, dal Joker, quando dice "Forse non è necessario impazzire, forse non si deve reagire così…Forse sei solo tu". E' proprio allora che il pagliaccio ricorda a Bruce Wayne che non è da considerarsi normale una persona che si muove vestita da pipistrello. Ma la DC meno pensa a una caratterizzazione di personaggi frustrati, che invece troviamo maggiormente nella Marvel. Peter Parker è un ragazzo che nessuno ama, dedito allo studio, che trascorre un'esistenza piatta. E allora come reagisce? Diventa pazzo, nel senso che esce dagli schemi, dalla normalità. Si crea un alter-ego forte, agile, scattante, ironico, popolare. Alla fine, con l'andare avanti della storia dell'Uomo Ragno, Peter Parker diventerà sempre più sicuro di sé. Questo permette meno identificazione con il protagonista, ormai diventato un bellissimo ragazzo sciupafemmine. O forse è in realtà un messaggio positivo, un insegnamento che spiega come anche senza superpoteri la nostra vita può migliorare. Basta superare uno scalino. E Bruce Banner? Guai a farlo arrabbiare! Quanti di noi scherniti, derisi, rifiutati, non avrebbero voluto dar vita alla bile acida di rabbia nello stomaco, per trasformarsi in Hulk? Banner lo ha fatto. E' impazzito e si è creato un suo secondo. Hulk è lo sfogo dei suoi problemi, delle sue nevrosi e della sua rabbia incontrollata. E' il suo istinto di sopravvivenza, una persona totalmente opposta a lui, forte, e decisa, che persino "odia" il suo doppio, Banner. E si potrebbe andare avanti ancora con altri esempi. Esempi di catarsi. Il lettore legge dei supereroi, li invidia, vorrebbe essere morso da ragni radioattivi o investito da raggi gamma, o essere nato con ossa di adamantio. Ma poi si rende conto che neppure la vita del supereroe è facile. Che non è quello il modo giusto di reagire. Che non è conducendo due vite che si migliora, nemmeno rinunciando a sé stessi, al proprio nome, al proprio volto, al proprio carattere. Non è sfogandosi e diventando verdi, perdendo il lume della ragione, che si combattono le angherie della vita. Si deve migliorare piano piano, giorno per giorno, superare i nostri scalini e le nostre difficoltà. Non si deve impazzire tutto di un colpo, tutto di un colpo esplodere di rabbia, o cambiare la propria vita per sempre. Si deve cercare un equilibrio, amare di più sé stessi ed il prossimo. Questo il lettore lo viene a sapere solo dopo aver letto le storie di personaggi che, seppur finti, possono capirlo ed insegnargli. E si purifica. Questo è un bellissimo concetto, che non troviamo ad esempio, in Charlie Brown. In Charlie Brown non c'è nessuna reazione alle angherie, nevrosi o timidezze del piccolo grande Charlie. Egli rimane impassibile, come tutti noi, non diventa un eroe in costume né impazzisce né altro. Catarsi non c'è, ma in compenso troviamo qualcosa che ci capisce. Charlie Brown, sì…Ma questa è un'altra storia… (16/12/2003)
|
||||||