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ANDREA G. PINKETTS a cura di Daniele D'Aquino
Andrea
G. Pinketts è nato a Milano nel 1961. Giornalista e narratore di romanzi
prevalentemente noir, ha fondato la Scuola dei Duri, un movimento letterario che
si propone di esplorare la realtà attraverso l’indagine poliziesca. Ha
vinto numerosi premi, tra cui tre Mystfest e uno Scerbanenco, e ha
ricevuto la targa “Una remington per la strada”, per alcune inchieste
pubblicate sulla rivista “Esquire”. I suoi libri (molti dei quali
tradotti con successo in Francia): “Lazzaro, vieni fuori”, “Il vizio
dell’agnello”, “Il senso della frase”, “Io, non io, neanche
lui”, “Il conto dell’ultima cena”, “L’assenza
dell’assenzio”, “Il dente del pregiudizio”, “Fuggevole
Turchese”, “Sangue di yogurt”. Queste le ufficiali e concise note editoriali, che trovate nei risvolti di copertina dei suoi romanzi. Dovessi
fornire una presentazione ancora più succinta, direi: Andrea G. Pinketts
ha il senso della frase ed è una persona disponibilissima. Per avere
conferma della prima affermazione basta leggere un suo libro e rimanere
affascinati dall’arguta ricchezza della sua scrittura, susseguirsi di
calembour, intelligente ironia, personaggi sopra le righe. “Il
senso della frase è il sesso della frase, il suono della frase, il
significato della frase. Il senso della frase battezza la frase, la
estremizza e anche se la degrada col turpiloquio, la promuove comunque
rendendola, alla fin fine, definitiva. Il
senso della frase è il punto d’arrivo del concetto espresso quando la
frase è ancora nell’utero. E’ il punto di non ritorno.” Ho
avuto conferma della seconda affermazione in occasione di questa
intervista. Il luogo comune
vuole che un artista famoso se ne stia rintanato nella sua torre
d’avorio, chiuso in una spocchiosa superiorità. Non è il caso di
Andrea G. Pinketts, che si è rivelato una persona davvero squisita e
simpatica. Uno che ama raccontare e raccontarsi. Per
sapere tutto su di lui, fate un salto sul suo sito Internet: www.pinketts.it
Qual
è il tuo rapporto con il fumetto?
Il rapporto è antichissimo. Ho iniziato a leggerli a 5 anni, contemporaneamente ai libri e quindi non mi limitavo a guardare le figure, come invece spesso accade da bambini. Ho sempre creduto perciò alla poetica possente della coesistenza tra disegno e testo. Ad esempio tra Magnus e Bunker non è che ritenessi più grande l’uno o l’altro, vedevo solo il matrimonio riuscito. Poi
con il passare degli anni sono diventato un vero appassionato e scrivendo
in un periodo in cui il linguaggio della letteratura è per fortuna
contaminato, nelle mie storie ci sono il cinema, i videoclip e tutte le
suggestioni del mondo della comunicazione, tra cui anche il fumetto.
Parlavi
di Magnus e Bunker…sin da
piccolo perciò ti interessava il genere nero.
Certo, ma non solo Satanik e Kriminal. Leggevo anche quelli della Edifumetto, illustrati da grandi autori tipo Leone Frollo…non so, le varie Isabelle, le Jacule, i fumetti per militari e ragazzi insomma. Io
sono un cultore della cultura popolare, ma ovviamente anche all’interno
della cultura popolare ci sono cose che mi piacciono di più e altre di
meno, perché alcune hanno un innegabile valore estetico. Altre,
pur essendo brutte e sporche (non parlo di contenuti), hanno comunque un
qualche fascino.
Il fascino del trash…Esatto. Come i film di Franco e Ciccio: io preferisco “Ultimo tango a Zagarolo” piuttosto che “Ultimo tango a Parigi” (ride)
Concordo! Ti sei mai cimentato come sceneggiatore di fumetti?
Ho creato insieme a Maurizio Rosenzweigg un personaggio che si chiamava Laida Odius, protagonista di una miniserie di 4 storie pubblicata nel 1985 dalla Phoenix di Daniele Brolli. Si
trattava di un travestitone con una doppia vita: di giorno fa il lattaio e
di notte è una specie di killer pagato da poveracci per uccidere altri
poveracci.
La tue sceneggiature sono iperdettagliate oppure lasci parecchia libertà al disegnatore?
Sceneggio all’americana, il cosiddetto storytelling. Ragion per cui scrivo il fumetto come se fosse un racconto, specificando alcuni particolari e i dialoghi. Se
il disegnatore vuole aggiungere qualcosa, è a sua discrezione.
L’importante è che non tolga nulla, poiché potrebbe togliere qualcosa
di fondamentale.
Hai mai pensato di scrivere per Bonelli?
Me lo hanno chiesto più volte, però, scrivendo romanzi ininterrottamente, ho troppo rispetto per il fumetto per realizzarlo nei ritagli di tempo o prenderlo sotto gamba. Sono
pressatissimo nella stesura dei miei libri e il momento in cui mi dedicherò
a un fumetto sarà l’anno in cui deciderò di non fare nient’altro e
tutte le mie energie saranno su quello.
Neanche un soggetto, come nel caso del tuo collega Lucarelli con Dylan Dog?
Lo farei volentieri, Dylan Dog poi è un personaggio che si presta benissimo alle storie che posso inventare. Ma
ti ripeto, è una questione di tempo. Come hai visto per fare
un’intervista ci sono volute quattro telefonate! C’è una frase nel
telefilm “A-team”, detta da George Peppard quando vede andare a rotoli
tutto ciò che ha progettato: “Adoro i piani ben riusciti.” Ecco,
io faccio dei grandi piani e poi ci sono sempre degli imprevisti continui
(ride)
Pensi che il rigido formato bonelliano e la sua serialità, possano costituire una costrizione alla creatività dell’autore?
Non credo, ci si può adattare. E’ un altro tipo di professionismo, è come scrivere storie a puntate. Io ho lavorato per giornali, anche quotidiani, che ti chiedevano la storia a puntate e bisognava quindi entrare nella meccanica del colpo di scena dosato, dell’elemento di riconoscibilità che non spiazza il lettore ma fa in modo che si affezioni.
Il tuo alter ego Lazzaro Sant’Andrea, protagonista di quasi tutti i tuoi romanzi, è finito anche sulle pagine di Lazarus Ledd. Com’è nata la collaborazione con Ade Capone?
Siamo diventati amici ad un Dylan Dog Horror Fest, credo quello del 1987, e poi nel 1992, quando lui ha iniziato a lavorare al progetto di Lazarus Ledd, c’era venuto in mente di far incontrare questi due Lazzari.
Hai
fornito idee nella stesura delle storie?
Sì, soprattutto all’inizio, nella prima apparizione in “Milano Rosso Sangue” del 1997. Ci siamo incontrati per vedere come far coesistere i linguaggi senza che uno dei due prevaricasse sull’altro.
Sono previste altre storie con Lazzaro e Lazarus?
In questo periodo c’è il solito problema di tempo, sia per Ade, sia per me. Probabilmente però, visto che ci è stato anche richiesto, prima o poi i due si rincontreranno.
Ma
le tue incursioni nel fumetto non finiscono qui...
Ho fatto delle comparsate in Mister No, dove a Manaus gestisco il Pink Bar e in Martyn Mistère nelle sceneggiature di Cappi. Una volta in fiera una ragazza molto carina che adesso si trova in Amazzonia a fare un documentario sulle lontre, guardandomi mi ha detto che le ricordavo un personaggio dei fumetti. E io gli ho chiesto: “Chi?” E lei fa: “Ma no, non uno che esiste già. Tu sembri un fumetto” (ride) L’ho preso come un complimento e per ricambiare le ho detto che lei sembrava invece un cartone animato. Di solito sono più teneri, no?
Da
poco è uscito il tuo ultimo libro, “Sangue di yogurt”, che raccoglie
quattro storie brevi. Una di queste, “Spara pure, è un papero”, è
illustrata splendidamente dal papà di Pedrito El Drito, il grande Antonio
Terenghi, uno fra i maestri del fumetto italiano.
E’ una cosa che ho voluto fortemente per restituire a quelle storie pulp, autenticamente pulp, il sapore del fumetto vecchio stile, delle storie in cui le illustrazioni sono tutte shocking, sono tutte degli strilli di copertina.
L’anno scorso la Punto Zero annunciò l’uscita di “I vizi di Pinkezz”, un volume contenente cinque storie a fumetti, tratte da tuoi racconti. Ma sugli scaffali non ce n’è ancora traccia...
E’ una storia infinita, la sta seguendo Luca Crovi. Ogni due-tre mesi dovrebbe uscire, poi succede qualche intoppo.
Colpa
forse della difficile situazione economica attraversata dalla Punto
Zero…
Sarà quello, anche perché l’opera è pronta ed è anche molto bella. Tra l’altro abbiamo fatto una mostra a Siracusa, durante “Giallo Mediterraneo”, con un’esposizione di tavole originali.
Attualmente
quali fumetti leggi?
Leggo tutto quello che trovo in edicola e in fumetteria. Sono molto affezionato a Bonelli (e poi abitando vicino Via Buonarroti vado a prendere gli albi direttamente lì). Mi piace molto “Erinni”, una serie bellissima scritta da Ade Capone e anche “Gabriel” di Riccardo Secchi, davvero originale e interessante . Ma anche Dago e Amanda non sono male.
Robin
Wood quindi…
Sì, ma non tutto quello che scrive. Martin Hel secondo me è una puttanata.
Fumetti americani?
Certo, soprattutto per quanto riguarda le graphic novel oltreoceano ci sono degli autori straordinari.
Fumetti
francesi? Manga?
Sì anche. Sono assolutamente ecumenico. Come da scrittore cerco di far convogliare diversissimi linguaggi e suggestioni, così da lettore sono onnivoro.
Fumetto
e giallo (il giallo come tutte le narrative di genere) sono stati
accomunati per lungo tempo da una sorta di ostracismo intellettuale, che
li faceva considerare prodotti minori. Pensi
che la situazione sia cambiata?
Sì, almeno da una decina d’anni. Credo che adesso siano assolutamente sdoganati…guarda l’Einaudi che pubblica libri a fumetti!
Hai un rapporto molto diretto con i lettori: sia in “Fuggevole turchese” sia in “L’assenza dell’assenzio” hai addirittura lasciato il tuo vero numero di cellulare!
E’ veramente un rapporto continuo. I miei lettori poi sono dei sostenitori agguerriti, con un grosso spirito critico, ma non tanto nei miei confronti, quanto verso i miei detrattori. Qualche settimana fa una lettrice di Sette, il supplemento del Corriere della Sera, ha insinuato che secondo lei imitavo Pennac, cosa non vera, poiché le mie storie sono precedenti alle sue – io ho iniziato nell’84, mentre il primo romanzo di Pennac è del ’91. Fatto sta che Sette è stata tempestata di e-mail di lettori pinkettsiani indignati.
A
proposito di e-mail, qual è il tuo rapporto con Internet?
Non ho neanche un computer, ma sono uno strenuo difensore di Internet, perché per fortuna ho delle persone che lo usano per me e vedo che è uno strumento utilissimo. Come trovo che sia utilissima una scavatrice se uno deve fare un buco. Solo che se anche mi serve un buco, preferisco non farlo io.
Progetti
futuri?
Sarò in giro per qualche mese per promuovere “Sangue di yogurt” e poi riprenderò a lavorare sul romanzo che ho interrotto, “Nonostante Clizia”.
Niente
fumetti, quindi.
Al
momento no, sono veramente stremato, sto facendo avanti e indietro per
l’Italia senza sosta. Con questo fottuto caldo (l'intervista è stata
realizzata a metà Luglio, ndr) poi ho solo pensieri
neri: mi verrebbe una storia alla Satanik!
(1/11/2002)
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