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Michele Foschini

di Stefano Perullo

 

Bazooka Jules (c) Indy Press / degli autoriChi negli ultimi tempi non ha sentito almeno una volta il nome di Michele Foschini molto probabilmente è stato completamente estraneo al mondo del fumetto; con la sua attività di Sceneggiatore, editore di fumetti italiani ed esteri, redattore e traduttore per numerose case editrici, non si può certo dire che sia una persona poco dinamica o poco intraprendente o, peggio ancora, a cui piaccia crogiolarsi sulle piccole soddisfazioni che sinora ha ottenuto con la sua INDY PRESS. Dunque, non mi resta che darti il benvenuto nel nostro, spero, accogliente salottino virtuale e dare inizio alla nostra chiacchierata invitandoti, nel più classico dei modi, a parlarci di te: chi è Michele Foschini?

 

Bella domanda. In merito non ci sono fonti certe. Sono uno che ha scoperto, dopo aver fatto male il Liceo Scientifico, che se si fosse impegnato al 110% in qualcosa non avrebbe più fallito. Mamma era contenta: credeva che quindi avrei finito Lingue Straniere in tre anni. Invece mi dedicai al fumetto, divenni un tipico dropout universitario velleitario, e iniziai a fare i lavori più strani per finanziare la mia piccola casa editrice. Ho fabbricato l’Olio Cuore nel turno di notte, ho venduto prosciutti e computer, ho fatto da fattorino e maggiordomo. Mi sono divertito un casino. Ah, ho fatto l’obiettore di coscienza lavorando con i disabili psichici, nel 2000, e sono molto sensibile agli argomenti del volontariato. Adoro i REM. Odio radermi. Mi piace stirare. Bevo l’assenzio, ma non uso alcun tipo di droga. Non fumo, chi mi sta attorno lo fa anche per me. Adoro cantare in pubblico, ma non sono equipaggiato per farlo. I miei disegnatori mi chiamano Ciuff-Ciuff, ma dovrete chiedere a loro perché. Ti basta? Parliamo d’altro!

 

Una delle frasi che negli ultimi anni ci si sente maggiormente ripetere è che il mercato dei fumetti sta attraversando una crisi quasi irreversibile. Al di là della veridicità, o della condivisibilità, di questa affermazione, cosa ti ha spinto a percorrere la rischiosa strada dell’auto-produzione?

 

L’ignoranza. I miei inizi erano privi di senso degli affari, del design, della commerciabilità. La crisi finisce quando con audacia si prova a fare qualcosa di nuovo. Se non si è in grado di fare niente di nuovo, fare qualcosa è già un buon inizio.

 

Dal tuo punto di vista di editore specializzato in prodotti per pochi, il mercato è effettivamente in crisi? C’è una ricetta per uscire dalla crisi?

 

Ti ho già risposto, e francamente se avessi cento euro per ogni volta che mi hanno fatto questa domanda io non sentirei alcun effetto della crisi. C’è poca intraprendenza, e lo snodo più anchilosato nel meccanismo del fumetto sono le librerie: la crisi le ha spaventate, e non si stanno rialzando. Tutto parte da lì, ma la loro “vigliaccheria” imprenditoriale (e lo dico con bonarietà, ho ottimi amici librai, che sanno cosa intendo dire e condividono loro malgrado) trova facili giustificazioni nelle politiche commerciali di distributori ed editori: insomma, nessuno ci prova più di tanto, e il mercato sembra fatto di tre soli editori, ma sono solo ¾ della torta: se i piccoli fossero giustamente considerati i librai vedrebbero i loro affari crescere del 25%, ne sono certo.

 

L’auto-produzione e, più in generale, i piccoli editori, quale ruolo ricoprono nell’attuale panorama editoriale e quale, secondo te, dovrebbero ricoprire?

 

Sono una nicchia vitale e necessaria, palestra in cui i grandi guardano poco, salvo poi scoprirvi i talenti che non sapevano di star cercando. C’è poca affidabilità, pochi piccoli editori sopravvivono abbastanza a lungo da ultimare le loro serie e miniserie. La diffidenza serpeggia tra i lettori, dobbiamo impegnarci di più. Da grande sopravvissuto dei tardi anni ’90 (Indy ha appena compiuto sei anni), credo di potermi dire soddisfatto della nostra capacità di restare in sella, ma si può e deve fare di più.

 

Babetool (c) Indy Press / degli autoriAl di là di quello economico, che rischi comporta essere gli editori di se stessi?

 

Mah, principalmente si rischia di non capire bene cosa voglia veramente il lettore. Partendo dall’assunto che nemmeno il lettore lo sa bene, c’è poco da ridere. E’ facile credere troppo in una propria idea, anche se è sempre necessario produrre solo fumetti che compreremmo. Io mi domando sempre “Pagherei per questo fumetto?”. Se mi rispondo “Sì, fino a duemila euro!”, vuol dire che pagare la tiratura non mi pesa, e credo che potrebbe funzionare. Più passano gli anni e meno mi sbaglio.

 

Secondo quali canoni giudichi la validità di una tua sceneggiatura, cosa ti spinge a considerare valido o meno un tuo lavoro? Mi spiego meglio, non temi di potere essere troppo indulgente nei tuoi confronti?

 

Sicuramente ho commesso errori di indulgenza eccessiva, ma con gli anni ho imparato a stemperare la mia eccessiva sintesi in modo da dare il giusto respiro ai miei testi. Quanto alle idee, credo che ci siano due tipi di scrittori: quelli del COSA, e quelli del COME. Io appartengo alla seconda categoria, e accettando che il mio modo di raccontare attimi, storie e sensazioni possa essere valido, a questo punto l’importanza del soggetto che scelgo è relativamente poco influente. E poi guarda, scrivo così poco, da due anni a questa parte, che è difficile scendere sotto un certo livello. Sono molto selettivo e odio profondamente gli imbratta carta. Ai “poster”, però , l’ardua sentenza.

 

Mi rendo conto che, in qualità di piccolo editore di prodotti di giovani talenti il cui naturale mercato di sbocco sono proprio le librerie specializzate, non sei la persona più adatta a cui fare questa domanda … eppure non posso esimermi: non temi che la presenza troppo massiccia delle case editrici nelle librerie, nelle quali ci si rivolge ad un ristretto pubblico di appassionati con proposte a bassa tiratura ed ad alto prezzo, possa alla lunga rappresentare un danno per il Fumetto nella sua complessità? Ovvero, nel lungo periodo, i fumetti non corrono il rischio di perdere visibilità e, dunque, di acquisire nuove generazioni di lettori?

 

Aridànghete. I temi comuni a tutte le piccole realtà, temo. Sfatiamo due miti, per favore: i fumetti sono comunque letti da poche persone, in Italia. Non sventolarmi davanti i numeri di Tex. Siamo tutti d’accordo che la nonnetta che compra due copie di ogni edizione di Tex non è un lettore di fumetti, vero? E poi i fumetti non sono così cari, comparati con altre forme di intrattenimento intellettuale. Lo sono più di prima, e divengono proporzionalmente più costosi man mano che calano le tirature e le possibilità distributive degli editori, ma non parliamo quasi mai di prezzi proibitivi. Certo, dieci euro per un “bonellide” di settantadue pagine sono un’eresia, ma nessuno ti costringe a comprarlo!

Quanto alla eccessiva offerta, io credo che in realtà tutta questa varietà sia di grande beneficio al fumetto. Ci sono titoli destinati ai gusti più disparati. Hai idea di quanta gente sia entrata nel “giro” solo perché esiste la Coconino? Igort & Co. Sono la Fantagraphics d’Italia!

 

Per INDY PRESS le edicole sono una chimera?

 

Cos’è un’edicola? No, scherzi a parte, l’edicola non è un’ambizione necessaria, anche se per noi è dietro l’angolo, almeno per quanto riguarda due progetti. La distribuzione nei chioschi è aleatoria e poco redditizia per chi sta sotto le 30.000 copie di tiratura. I profitti giungono con tempi biblici (mio padre direbbe “a Fine mese e  Babbo morto”) quindi è una strada percorribile solo da chi può investire a medio-lungo termine.

 

Ultimamente INDY PRESS ha fatto parlare molto di sé non solo per alcuni ottimi fumetti prodotti ma anche per aver allargato i propri orizzonti produttivi. Pochi mesi fa, infatti, hai siglato un accordo con la COM.X, una casa editrice inglese che ha avuto l’innegabile merito di lanciare enormi talenti del calibro di JOSHUA MIDDLETON e TREVOR HAIRSHINE [non per niente finiti sotto esclusiva per la rampante MARVEL di Joe Quesada – NdStefano]. Cosa ti ha spinto a tentare questa EVOLUZIONE?

 

Ho avuto i titoli Com.X sul tavolo per mesi, e continuavo a ripetermi “Questi ragazzi hanno le palle… e stanno rischiando tutto in un mondo che li teme e non li comprende.” Insomma, sono gli X-Men del mondo del fumetto. Infatti siamo subito andati d’accordo, e le nostre collaborazioni diverranno ancora più strette, non appena loro finiranno di pubblicare le miniserie iniziate, dopo il lungo stop causato dai due furti che hanno subito nel loro quartier generale di Kirk Street a Londra.

 

Cla$$war (c) Indy Press / degli autoriIl rapporto con la COM.X prevede anche la traduzione e la commercializzazione di opere della INDY in Inghilterra ed USA? Lungi da me il tentativo di lusingarti, credo che “Scienza da Marciapiede” farebbe davvero una gran bella figura, non credi?

 

Scienza da Marciapiede dev’essere la sola cosa che la Com.X ancora non ha valutato, sai? Quanto al resto… ci sono grosse idee sul tavolo, ma io prenderò impegni solo dopo il viaggio a San Diego a Luglio. Per ora preferisco appellarmi al Quinto Emendamento.

 

Come è stato il responso del pubblico all’allargamento dei confini produttivi della INDY? Credi che questa evoluzione ti abbia aiutato a raggiungere nuovi lettori?

 

Di sicuro! Nessun nostro titolo aveva mai superato le mille copie di venduto, o esaurito una tiratura… Cla$$war ci sta dando grandi soddisfazioni, così come il nostro best seller alle fiere, Il Cielo Tra i Rami. La Com.X è stato il nostro primo balzo quantico calcolato. L’Image sarà il secondo.

 

Come ho accennato poco fa, ritengo che un punto decisamente dolente delle produzioni librarie in genere sia l’elevato prezzo di copertina. Nel tuo caso mi vengono subito alla mente i 4.00 € sonanti per le 32 paginette de “Il cielo tra i rami” ed i 9.00 € per le 72 pagine di “Cla$$war”. E’ davvero impossibile o anti-economico tentare di praticare dei prezzi più economici?

 

Ancor più dolente: Il Cielo Tra i Rami ha solo 20 pagine, amico mio. E al minimo minimo poteva costare 3 euro, al che io non ci avrei fatto una lira. E’ il fardello degli albi con poche pagine: in proporzione convengono pochissimo. Eppure la gente lo compra allegramente, una volta visto cosa c’è dentro. La qualità si paga, e io purtroppo la pago carissima, se andiamo a vedere i diritti esteri. Quanto a Cla$$war, guarda che il volumetto costa un po’ MENO di quanto avresti pagato i tre albi inglesi che lo compongono. Non mi sembra affatto male! Se avessimo tirature diciamo almeno DOPPIE rispetto alle attuali, credo che potremmo far calare sensibilmente i prezzi. Spero davvero di poterlo fare presto. Vorrebbe dire che i lettori aumentano, e la loro fedeltà andrebbe premiata.

 

Sfogliando gli ultimi cataloghi di anticipazioni ho scoperto che la INDY ha ulteriormente allargato i propri orizzonti: presto proporrete BULLETPROOF MONK, un fumetto prodotto da Michael Avon Oeming (partner di Michael Brian Bendis su quel piccolo gioiello di POWERS) e prodotto negli USA dalla IMAGE. Un fumetto di cui si parla un gran bene e dal quale è stato tratto un film prodotto nientemeno che da JOHN WOO. Ci puoi dire di cosa parla?

 

E’ la storia del giovane Kar, un orientale a San Francisco che si impelaga nelle attività di una banda criminale per amore della figlia del boss. Ben presto però si troverà costretto a cercare il leggendario Monaco Antiproiettile, l’uomo che salvò il suo villaggio natale, in Tibet, dai nazisti negli anni ’40: pare che diversi emissari della Cina Comunista vogliano uccidere Kar per sapere i segreti del Monaco. Lui non li sa, ma li apprenderà… la sua sarà più una ricerca interiore che materiale. Il fumetto è davvero molto bello e poetico, intriso di filosofia e saggezza, ma sapientemente mescolate all’azione più Hong-Kong style che si sia mai vista in un albo USA.

 

Hai già visto il film? Che cosa ne pensi?

 

Il film mi è sembrato inferiore al fumetto, ma Chow Yun-Fat è strepitoso, e anche Seann William Scott, per chi lo ricorda solo in American Pie, sarà una sorpresa. E’ molto cresciuto. Il finale è poeticissimo. Il regista è un allievo di John Woo, che ha prodotto la pellicola. Pregevole, leggero, il pubblico affamato di altre cose in stile Matrix sarà soddisfatto dal Monaco.

 

Credi che John Woo sia tornato ai fasti delle sue produzioni pre – hollywoodiane?

 

Il film è certamente più pulp e irreale dei suoi film americani. Ma non siamo ai livelli di Hard Boiled, questo è certo.

 

Bulletproof Monk (c) Indy Press / degli autoriDa fonte certa so che coloro che avranno la pazienza di leggere fino in fondo i titoli di coda della pellicola avranno una gradita sorpresa, che cosa ci puoi dire in proposito?

 

Che spero che succeda nei titoli di testa! Abbiamo chiesto alla Metro Goldwyn Mayer di aggiungere nei titoli “Basato sul fumetto omonimo, pubblicato in Italia da Indy Press Comics”. Che pippa, signori miei!

 

Che emozione si prova nell’essere citati in un blockbuster d’oltreoceano?

 

L’emozione di aver saputo cogliere la bellezza di una storia, e di averci voluto investire perché altri ne potessero godere. Nel mio piccolo, pubblicare Bulletproof Monk è un gesto d’amore per questi personaggi quanto lo è stato quello di John Woo nell’acquistare i diritti per il film. E’ una storia che merita di essere raccontata.

 

Cosa ci riserva nel futuro INDY PRESS? Ci sarà un’ulteriore allargamento della vostra produzione di fumetti stranieri?

 

Abbiamo dieci contratti firmati con Image. ‘nuff said!

 

Quali autori italiani, e quali titoli, sono in programma nel prossimo futuro?

 

Per i pochi che l’aspettavano, è imminente il ritorno di Scienza da Marciapiede. Federico Nardo e io siamo al lavoro su un nuovo albo. Nemesis di David Messina è in fase di ultimazione del secondo di tre albi, e presto sentirete parlare di IRWIN, una favola assolutamente sorprendente di Alberto Polita e Sandro Pizziolo. E tra pochi mesi inizieremo a pubblicare libri per bambini. Sorpreso? Voglio dei figli, e devo iniziare a preoccuparmi di cosa leggerò loro prima di spegnere la luce, la sera.

 

Oltre ad essere un editore tu sei un valido sceneggiatore, come fai a conciliare le tue due attività principali?

 

Non c’è conflitto, sono due modi di portare sotto gli occhi dei lettori le storie cui tengo. Comunque quando i doveri editoriali mi prendono in pieno, è difficile che scriva qualcosa di utile. Quasi mi passa la voglia di farlo, ti confesso.

 

Come è articolata la tua giornata lavorativa tipica? Come fai a conciliare tante attività così differenti?

 

Mi alzo alle sette e vado a fare colazione al mio bar preferito. Ci vado in bici, così carburo il fisico. Poi rispondo alla posta, un dovere che mi prende diverse ore al giorno. Non smetto di lavorare fino all’una. Poi telegiornali, giornali e pranzo. Cucino io, per me e i gatti. Possibile pisolino se la stagione concilia. Altrimenti diretto al lavoro di nuovo. Se sceneggio, il momento migliore è il primo pomeriggio, e se sto facendo una stesura definitiva la sera tardi, quando tutti i rumori si affievoliscono e posso scegliere io che suoni ascoltare. Per i lavori editoriali non c’è orario, e spesso dipendo da cosa stanno facendo il mio supervisore e addetto pubbliche relazioni, Alberto Polita, o il mio letterista e consulente editoriale, Manfredi Toraldo.

Non smetto mai di lavorare prima delle dieci di sera. Il weekend generalmente viaggio, ma mi porto sempre il laptop, così posso finire qualche lavoro pendente. L’ho comprato quando traducevo a pieno ritmo per Lexy, adesso le traduzioni per Indy le faccio sempre sull’Eurostar tra Venezia e Roma, o viceversa. E’ un buon posto dove lavorare, ma mi faccio sempre assegnare i posti vicini alle prese elettriche perché odio interrompermi, sono un grande appassionato delle lunghe tirate di lavoro intellettuale.

Il solo ingrediente che non manca alle mie giornate è la Red Bull. Warren Ellis e io abbiamo discusso per email sulle sue proprietà, e ne siamo entusiasti.

 

Come nascono le idee per un soggetto?

 

Nei modi più disparati. A volte parlando con altri, a volte pensando in silenzio nei tempi morti, tipo in treno o in bicicletta. Il più delle volte mi innamoro di una situazione o di una frase, e ci costruisco intorno. Prendo pochi appunti, per cui spesso mi scordo le buone idee, che a volte però tornano, e allora è come rivedere in vecchio e caro amico che si era trasferito. Festa grande, e non posso più esimermi dallo scrivere quell’idea.

 

Invincible (c) Indy Press / degli autoriQual è il tuo metodo di lavoro? Come passi dal soggetto alla sceneggiatura e che tipo di sceneggiature fornisci ai tuoi collaboratori?

 

I miei soggetti sono di circa una facciata. Poi eseguo una scansione dettaglia delle azioni significative della storia, e conto i punti che ho annotato: li suddivido ulteriormente o li accorpo tra loro per ottenere un numero di punti uguale al numero di pagine da sceneggiare, poi faccio velocissimi layout su pagine a griglia fissa (se sto lavorando per Disney) dove più che altro penso ai dialoghi che desidero scrivere. Se lavoro con Federico Nardo mi limito a decidere quali devono essere la vignetta più grande e la più importante (non sempre coincidono) nella pagina, e lascio che ai layout pensi lui. Dai miei scarabocchi passo alla sceneggiatura definitiva, full-script, con dialoghi ed effetti sonori, la rileggo una sola volta e la passo al redattore o al disegnatore.

 

Cosa è SCIENZA DA MARCIAPIEDE?

 

Il mio tentativo di essere grasso.

E’ il modo in cui vedo veramente il mondo, nel bene e nel male. E’ il padre che non ho avuto e il padre che ho. E’ il lato migliore di me che fa i conti con il lato peggiore e vince, anche se spesso paga care le vittorie. E’ il mio modo di farvi sapere che sono innamorato, e di chi e di cosa. E’ un’idea molto personale, difficile da spiegare.

 

Che tipo di rapporto hai intessuto con Duca Ussaro?

 

Se Duca mi conoscesse, non saremmo grandi amici. Sono troppo artefatto e complesso per lui. E lui è troppo timido per avere fiducia in un estroverso come me.

 

La narrativa di Jean Giono ti ha in qualche modo influenzato nel battezzare l’eroe di Sidewalk science?

 

Confesso di non aver mai letto Giono. Cosa mi è sfuggito? Io ho chiamato il mio protagonista con il nome dell’eroe di Scerbanenco, Duca Lamberti, e con il cognome della donna di cui si innamora, Livia Ussaro. Sono un grandissimo ammiratore del modo di scrivere di Scerbanenco, come molti scrittori della mia generazione.

 

In una vecchia intervista Giancarlo Berardi [il papà di KEN PARKER e JULIA – NdStefano]  disse che i suoi personaggi prendevano vita propria e scrivevano da soli le proprie avventure. Hai mai avvertito anche tu questa sensazione? Riesci a controllare i tuoi personaggi oppure ti rendi conto di essere controllato da loro?

 

La storia è sempre affar mio, ma a volte mi arrendo all’evidenza del fatto che i miei personaggi non dovrebbero comportarsi come vorrei che facessero, e allora per rispetto cesso di trattarli come strumenti al servizio della mia trama, e li ascolto: alla fine quello che fanno sulla pagina è quello che vogliono fare davvero. E allora il finale cambia, diventa imprevedibile. Perché la vita è così: puoi davvero fare tutto quello che vuoi, ma ci sono sempre delle conseguenze, un prezzo da pagare. E nessuno può insegnarti come muoverti, perché non ci sono regole se non quelle che apprendi con il buon senso, vivendo, per la strada. E’ tutta scienza da marciapiede.

 

Per me è tutto, vuoi aggiungere qualcosa?

 

Voglio solo esprimere il mio desiderio di comunicare di più con i lettori, i curiosi, i critici. Il nostro sito, www.indypresscomics.com è finalmente attivo, e io lo infarcirò di modi per farvi sapere cosa ci passa per la testa. Ma ci sono anche molti strumenti per dirci cosa frulla a voi nella vostra, e mi piacerebbe che li sfruttaste.

 

Grazie!

 

No, grazie a te. Insisto. E’ stato davvero un piacere.

 

(25/06/2003)

 

   

 

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