Il Garage Ermetico

di Daniele D'Aquino

 

Il Garage Ermetico (c) Moebius / Jean GiraudCi sono fumetti che lasciano il segno e diventano dei cult. “Il Garage Ermetico” di Moebius ne è un esempio. Ne avevo spesso sentito parlare, lo vedevo citato nelle top-ten dei lettori, anche illustri, e così ho deciso di acquistare l’elegante cartonato della Grifo Edizioni (120 pp. in b&n, € 16.50), pubblicato nell’Aprile 2003.

Alquanto singolare la genesi della storia. Si narra che Jean-Pierre Dionnet, amico di Moebius e capo redattore di “Metal Hurlant”, frugando nei cassetti del disegnatore avesse trovato le prime due pagine e gli avesse chiesto di continuarla per pubblicarla a puntate sulla propria rivista. Moebius disse di sì, ma realizzò la storia in modo anarchico, senza una trama precisa in mente, aggiungendo nuovi personaggi e situazioni ad ogni capitolo e rimandando mese dopo mese la risoluzione degli intrecci narrativi.

Naturalmente non possiamo sapere se ciò corrisponda al vero o se sia una trovata per circondare l’opera di un’aura leggendaria, comunque, anche se è stato tutto pianificato, bisogna ugualmente complimentarsi con Moebius per la sua abilità di farlo sembrare spontaneo. Ma a prescindere dal metodo di realizzazione, “Il Garage Ermetico” (uscito in Francia nel 1979) è davvero quel capolavoro visionario di cui molti tessono le lodi oppure è un sopravvalutato nonsenso d’autore? Chissà. La mia concezione di capolavoro s’incarna in “V for Vendetta”, “Maus”, “Contratto con Dio”. Qui siamo di fronte a qualcosa di diverso, ma che comunque non lascia indifferenti. Impossibile riepilogare la trama, anche perché una trama vera e propria non esiste. “Il Garage Ermetico” è il manifesto di un nuovo approccio al fumetto, un’opera ricca di fascinazioni letterarie e grafiche, un’esplorazione fantascientifica e metafisica attraverso mondi bizzarri, popolati da personaggi altrettanto stravaganti.

Se la narrazione può far sorgere qualche perplessità, per il suo incedere illogico e disordinato, il disegno invece non può che stupirci. Lo stile è dettagliato, suggestivo, una ligne claire con tratteggi, “contaminata” qua e là da neri di riempimento.
Un’opera fondamentale nella storia del fumetto. Io però continuo a preferire Moore, Spiegelman e Eisner…

 

(3/7/2002)

 

   

 

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