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Dylan Dog #186: "L'uomo nero" di Daniele D’Aquino
Chi
di
noi
da
piccolo
non
ha
avuto
paura
dell’Uomo
Nero,
il
babau
che
nel
buio
della
cameretta
usciva
da
sotto
il
letto
a
terrorizzare
le
nostre
notti? Luigi
Mignacco,
forse
per
esorcizzare
i
suoi
incubi
infantili,
ha
costruito
attorno
a
questo
spauracchio
una
trama
poliziesca
in
cui
Dylan
indaga
su
un
orrore
molto
più
reale
di
quelli
a
cui
ci
ha
abituato,
il
sequestro
di
un
bambino. La
trama
è
piacevole
anche
se
un
po’
troppo
lineare;
ben
definiti
Sheila
e
Timothy
(e
la
sua
visione
del
mondo),
invece
gli
altri
personaggi
(genitori,
malviventi…)
appaiono
un
po’
piatti. Discorso
a
parte
merita
la
sceneggiatura,
inficiata
dal
deus
ex
machina
del
sogno
rivelatore
che
svela
a
Dylan
l’identità
della
rapitrice:
è
un
trucco
disonesto
per
sbrogliare
l’impasse
narrativa
e
purtroppo
viene
utilizzato
piuttosto
spesso. Certo,
per
gli
sceneggiatori
è
una
pacchia,
ma
lo
trovo
scorretto
verso
il
lettore,
che
si
aspetta
una
risoluzione
logica
dell’intreccio,
a
maggior
ragione
in
una
trama
gialla
come
questa.
A
parziale
discolpa
di
Mignacco
c’è
da
dire
che
lui
usa
questo
accorgimento
poco
dopo
la
metà
dell’albo,
mentre
in
passato
(tra
i
tanti
casi
ricordo
ad
esempio
il
chiaverottiano
“La
rivolta
delle
macchine”)
è
stato
sfruttato
verso
la
fine. Chi
è
questo
nuovo
disegnatore?
Mi
sono
chiesto
sfogliando
le
pagine
senza
aver
letto
prima
i
credits.
Davvero
difficile
infatti
riconoscere
il
tratto
di
Pietro
Dall’Agnol
dopo
l’ennesima
evoluzione
stilistica
dovuta
soprattutto
alla
sua
esperienza
su
Julia
e
all’uniformità
grafica
voluta
da Berardi. A
molti
anni
di
distanza
dal
suo
ultimo
Dylan
Dog,
l’autore
di
numeri
storici
come
“Il
buio”
e
“Goblin”,
torna
con
un
segno
stravolto,
in
cui
le
influenze
manariane
degli
esordi
sono
del
tutto
scomparse.
Cambia
il
modo
di
inchiostrare,
i
disegni
ora
sono
più
sintetici,
ma
rimangono
efficaci
ed
espressivi
come
in
passato.
Certo
il
“vecchio”
Dall’Agnol
era
tutta
un’altra
cosa,
ma
anche
questo
suo
nuovo
stile
non
dispiace
affatto. (18/03/2002)
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