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Maxi Dylan Dog #5 di Daniele D’Aquino
Quinto volume del Maxi Dylan Dog, che di maxi purtroppo ha solo il numero di pagine. Le tre storie qui raccolte infatti, oltre ad essere accomunate dai disegni di Montanari e Grassani (gli unici che si salvano), condividono anche dei testi non proprio esaltanti, in cui non si va oltre al semplice mestiere. La
cosa
che
preoccupa
di
più
è
la
schematicità
delle
trame,
che
spesso
va
ad
inficiare
gli
aspetti
positivi
delle
storie,
rischiando
inoltre
di
annoiare
il
lettore. In
tutti
e
tre
gli
episodi
(come
in
molti
della
serie
regolare)
si
ripete
lo
stesso
intreccio:
omicidio
su
cui
Dylan
indaga-durante
le
indagini
l’assassino
torna
a
colpire
più
volte-Dylan
risolve
il
caso
più
o
meno
discutibilmente-scontro
finale
tra
Dylan
e
il
cattivo
di
turno,
con
tanto
di
confessione
di
quest’ultimo. E’
troppo
chiedere
dei
plot
più
originali? Passando
ai
singoli
episodi
di
quest’albo,
il
primo,
“La
voce
del
diavolo”,
scritto
da
Tito
Faraci,
non
aggiunge
un
granché
al
filone
dei
serial-killer,
ma
si
fa
leggere
abbastanza
piacevolmente. Senza
infamia
e
senza
lode
anche
la
storia
successiva,
firmata
Ruju,
“All’ombra
del
destino”,
che
ruota
attorno
ad
una
leggenda
su
un
parco
londinese.
Qualche
spunto
interessante
ma
nulla
di
più. Nel
terzo
episodio,
“Le
mani
assassine”,
scritto
da
Stefano
Santarelli,
si
raggiunge
il
fondo.
Solitamente
mi
aspetto
molto
da
un
autore
che
è
alla
sua
prima
prova
con
un
personaggio,
e
mi
aspetto
ancora
di
più
se
l’autore
in
questione
non
è
certo
un
esordiente,
visto
che
Santarelli
da
anni
è
uno
sceneggiatore
di
Martin Mystère. Ebbene
tutte
le
attese
sono
crollate. La
storia
presenta
situazioni
trite
e
ritrite,
personaggi
che
sono
poco
più
che
macchiette
e
come
se
non
bastasse
si
capisce
chi
è
l’assassino
dopo
appena
10
tavole. Meno
male
che
ci
sono
Montanari&Grassani
a
tirarci
un
po’
su! Sono
lontani
i
tempi
in
cui
i
detrattori
rimproveravano
al
prolifico
duo
un
disegno
piatto
e
legnoso.
Il
loro
tratto
è
migliorato
negli
anni,
diventando
sempre
più
pulito,
godibile
e
particolareggiato. Ogni
volta
poi
che
vedo
il
loro
inconfondibile
stile,
quelle
ombre
inquietanti
che
si
allungano
su
strade
e
pareti,
quell’interpretazione
di
Dylan
così archetipica,
viaggio
a
ritroso
nel
tempo
e
mi
vengono
in
mente
albi
storici
come
“Le
notti
della
luna
piena”,
“La
zona
del
crepuscolo”
e
“I
segreti
di
Ramblyn”.
Nostalgia
canaglia. E a proposito di quella doppia avventura, ricordo ancora la geniale battuta di Groucho, quando un personaggio dice: “Mica siamo ignoranti solo perché siamo montanari…” e lui: “…e Grassani. Questa non l’ho capita neanch’io, ma mi è venuta così.” (5/07/2002) |
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