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Il momento magico di Ruju Dopo
l’esordio fulminante con il geniale “Il vicino di casa”,
pubblicato quasi sette anni fa sul quarto dylandogone, la produzione di Pasquale
Ruju
ha navigato tra alti e bassi, ma senza mai uscire dal piccolo
cabotaggio. Anche
le storie più piacevoli finivano puntualmente nel dimenticatoio per la
mancanza di quel quid che rende un albo memorabile. Da un po’ di tempo
poi le sue sceneggiature risentivano di una schematicità che alla lunga
può stancare il lettore. A
parziale discolpa di Ruju c’è il gravoso impegno che gli era capitato
sul groppone: portare avanti, insieme alla Barbato,
una serie così popolare come Dylan Dog. Roba da far tremare i polsi… Però,
ogni tanto, si potrebbe osare, andare oltre il semplice mestiere. E a
giudicare le sue ultime prove, sembra che Ruju l’abbia capito. I
prodromi della svolta (speriamo sia tale) già s’intravedevano nel n.
192, “Macchie solari”,
una storia delirante, sui generis, avvincente, lineare e senza fronzoli. Qualche
giorno dopo è la volta del sedicesimo Speciale, particolare già nel
titolo: “Dov’è finito Dylan Dog?”. Tre
vicende diverse, unite dal fil rouge della misteriosa scomparsa dell’Indagatore
dell’incubo e della sua casa di Craven Road, s’intrecciano in un
divertissement
che alla fine assume i contorni del metafumetto,
con la confessione di un povero scrittore di vite (leggi sceneggiatore)
che ammette la propria crisi di creatività. Autoironia?
Simpatico riferimento a Sclavi? Questi
due albi sono stati l’antipasto di quel piccolo capolavoro che è “L’eterna
illusione”,
il n. 193 della serie, una magica, commovente, poetica allegoria dell’amore. Con
tocco leggero Ruju scrive una storia che entra nella mia personale top
ten e probabilmente anche in quella di molti altri appassionati. Non ci resta che incrociare le dita e augurarci che non si tratti solamente di un momento felice. (4/11/2002) |
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