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Il momento magico di Ruju

di Daniele D'Aquino 

 

(c) Sergio Bonelli EditoreDopo l’esordio fulminante con il geniale “Il vicino di casa”, pubblicato quasi sette anni fa sul quarto dylandogone, la produzione di Pasquale Ruju ha navigato tra alti e bassi, ma senza mai uscire dal piccolo cabotaggio.

Anche le storie più piacevoli finivano puntualmente nel dimenticatoio per la mancanza di quel quid che rende un albo memorabile. Da un po’ di tempo poi le sue sceneggiature risentivano di una schematicità che alla lunga può stancare il lettore.

A parziale discolpa di Ruju c’è il gravoso impegno che gli era capitato sul groppone: portare avanti, insieme alla Barbato, una serie così popolare come Dylan Dog. Roba da far tremare i polsi…

Però, ogni tanto, si potrebbe osare, andare oltre il semplice mestiere. E a giudicare le sue ultime prove, sembra che Ruju l’abbia capito.

I prodromi della svolta (speriamo sia tale) già s’intravedevano nel n. 192, “Macchie solari”, una storia delirante, sui generis, avvincente, lineare e senza fronzoli.

Qualche giorno dopo è la volta del sedicesimo Speciale, particolare già nel titolo: “Dov’è finito Dylan Dog?”.

Tre vicende diverse, unite dal fil rouge della misteriosa scomparsa dell’Indagatore dell’incubo e della sua casa di Craven Road, s’intrecciano in un divertissement che alla fine assume i contorni del metafumetto, con la confessione di un povero scrittore di vite (leggi sceneggiatore) che ammette la propria crisi di creatività.

Autoironia? Simpatico riferimento a Sclavi?

Questi due albi sono stati l’antipasto di quel piccolo capolavoro che è “L’eterna illusione”, il n. 193 della serie, una magica, commovente, poetica allegoria dell’amore.

Con tocco leggero Ruju scrive una storia che entra nella mia personale top ten e probabilmente anche in quella di molti altri appassionati.

Non ci resta che incrociare le dita e augurarci che non si tratti solamente di un momento felice.

(4/11/2002)

   

 

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