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250 numeri per Martin Mystere di Daniele D'Aquino
Aspettando la realizzazione dei cartoni animati, in cui apparirà ringiovanito e ribattezzato in Martin Mystery, il detective dell’impossibile taglia il traguardo dei 250 numeri con un’avventura dai sapori orientali. La
storia, iniziata nell’albo precedente, vede l’esordio ai testi di Gino
Udina, già creatore di “Demon Hunter” (uno dei
bonellidi più longevi) e ora impegnato sul “Messaggero dei Ragazzi”
di Padova con la serie “Tao” (disegni e colori di Fabio
Bono). Questa
sua prova su MM, pur non essendo un capolavoro, riscatta in parte
l’unica altra sua storia pubblicata dalla Bonelli, ovvero la deludente
“Le maschere della morte”, scritta insieme a Piani e Serra, apparsa
sul primo numero di Agenzia Alfa. Il
soggetto non è dei più originali: ci troviamo di fronte alla solita
caccia all’oggetto dotato di straordinari poteri, finito nelle mire di
un cattivone disposto a tutto per averlo. L’oggetto
in questione è una perla leggendaria e misteriosa, e il villain
di turno è uno spietato boss della mafia cinese. Sicuramente
meglio la sceneggiatura, scorrevole, in cui l’azione ha la meglio
sulla didascalia. Certo anche qui non mancano difetti; ad esempio ho
trovato improbabile la bomba al fosforo ad attivazione sonora (?) del
finale, sia per quanto riguarda i suoi effetti (un uomo ridotto in
cenere e altri due “cristallizzati”), sia per la sua costruzione
(come ha fatto un archeologo e antropologo avanti negli anni a preparare
un simile ordigno?). Inoltre
in tutta l’avventura c’è un problema di fondo: Martin, fatta
eccezione per la scazzottata al mercato, è poco più di un semplice
spettatore. Di questa cosa se ne è accorto anche Udina, che si salva in
corner facendo dire al Maestro Guan Lo che la presenza di Martin e Java
è stata importante perché ha determinato gli eventi. Nonostante queste pecche, la storia si legge piacevolmente, grazie anche ad una ambientazione interessante e ben documentata, riprodotta graficamente da un Giovanni Romanini in piena forma. I
suoi disegni hanno una grande immediatezza e sono sempre funzionali alla
narrazione. Mi
sono piaciute molto le numerose panoramiche, davvero suggestive con quei
neri ben bilanciati, e le scene più legate all’iconografia cinese,
rese perfettamente dal tratto dettagliato. Se
proprio vogliamo trovare una piccola macchia nella sua prestazione, ci
sarebbe da segnalare qualche libertà anatomica di troppo e la rigidità
dei personaggi in alcune posture. Per esempio nella seconda vignetta di
pag. 89 mi sembra sproporzionata la mano di Guan Lo rispetto alla testa
dell’amico morente, a meno che quest’ultimo non soffra di
cefalomegalia… Tirando
le somme, ci troviamo tra le mani una storia senza infamia e senza lode,
con disegni più che convincenti. Comunque
ci attendiamo da Udina prove di maggiore rilevanza.
(23/1/2003)
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