Dampyr #35: "I cacciatori di fantasmi"

di Daniele D'Aquino

 

Dampyr (c) Sergio Bonelli EditoreLa casa infestata è uno dei topoi del genere horror e fantastico più usato in letteratura e cinematografia.

Quasi impossibile quindi realizzare nel 2003 una storia di spettri con l’ambizione di originalità e non penso fosse questo infatti l’obiettivo di Boselli quando ha scritto “I cacciatori di fantasmi”, dove Harlan viene reclutato da un gruppo di ghost hunters per una spedizione nella magione di Haversham Priory, sede di fenomeni paranormali.

L’albo è ricco di citazioni classiche e dejà vu (poltergeist, la maledizione del dipinto…), eppure mantiene una peculiarità che sembra essere ormai il marchio di fabbrica delle avventure dampyriane: i temi trattati vengono sempre affrontati con un rigore quasi scientifico. Così anche in questo caso Boselli (che tra l’altro è appassionato di fantasmi) ha alle spalle una solida documentazione e riesce ad architettare un intreccio avvincente e godibile senza cadere nel didascalico o nel ridicolo.

Non era facile. Peccato però per il finale troppo confusionario e sbrigativo, unico vero neo di questo numero. Tutto il resto funziona alla grande, dal ritmo ai personaggi, interessanti e ben caratterizzati.

Ciò che comunque colpisce di più dell’albo è la prova di Majo, secondo me la migliore della sua militanza dampyriana.

Le tavole sono strabilianti. Dopo aver finito di leggere la storia, ho di nuovo sfogliato a lungo le pagine, ammirando il lavoro certosino dell’artista bresciano, merito anche della sceneggiatura su misura che Boselli gli ha cucito addosso.

La cosa che salta subito agli occhi è la cura maniacale per le ambientazioni. Il pennino magico di Majo raffigura le architetture nel minimo dettaglio e il fitto tratteggio crea ombreggiature incredibilmente suggestive e realistiche. Alcune inquadrature esterne ed interne della casa lasciano sbalorditi per la loro ricchezza grafica.

Majo disegna ogni particolare, indugia negli arabeschi dei tappeti e dei soffitti, nei fregi ornamentali di cornici e mobilia. Nessun dettaglio viene trascurato o mascherato da un nero di campitura. Da applausi.

Ma la sua bravura non si limita alle location e si estende anche all’espressività dei personaggi. Majo gestisce al meglio la recitazione e la mimica dei ghost hunters, catturando smorfie, sguardi, posture, riuscendo sempre a trasmettere al lettore le loro emozioni.

A voler cercare il pelo nell’uovo, paradossalmente Majo si dimostra più debole nella caratterizzazione di Harlan, a volte quasi caricaturale e distante dai canoni della serie. Comunque ciò non intacca la sua superba prestazione.

Due parole infine sulla cover. Nelle passate recensioni ho espresso le mie riserve su Riboldi soprattutto per la mancanza di incisività delle copertine e per l’inespressività di Harlan. Questo mese le cose vanno un po’ meglio: belli il soggetto e la scelta cromatica, anche se l’atteggiamento troppo contenuto di Harlan non convince appieno.

(26/2/2003)

 

   

 

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