Dylan non deve morire

di Daniele D'Aquino

 

Dylan Dog (c) Sergio Bonelli EditoreSembra proprio che Giuseppe De Nardo ultimamente non sappia scrivere un soggetto originale. Dopo essersi ispirato a “Il sesto senso” per “Uno strano cliente” (#195) e a “Jumanji” per “I quattro elementi” (#197), ora la vittima del “saccheggio intellettuale” è nientemeno che il re dell’horror Stephen King.

Daisy & Queen” (brossurato, 98pp. in b/n, € 2.20), duecentunesimo numero della serie, prende infatti spunto dal celebre romanzo “Misery”, portato poi sul grande schermo dal regista Rob Reiner, con una indimenticabile Kathy Bates (che per quel film vinse anche l’Oscar), nel ruolo dell’infermiera pazzoide.

A differenza del libro però, Dylan, dopo l’incidente d’auto, non viene preso in cura da una sua accanita fan: De Nardo, forse per evitare il plagio completo, opta per due sorelle psicopatiche con il solito padre molestatore che ha segnato le loro infanzie e ha fatto nascere in loro una misandria che sfocerà poi in follia omicida.

La storia parte subito male, con una di quelle coincidenze assurde che fanno storcere il naso: un buffo tedesco che parla per anacoluti espone a Dylan la sua tesi secondo cui la scomparsa di alcuni uomini nei pressi di un paese vicino Londra è dovuta a un assassino, il mostro di Crossbones. L’Indagatore dell’Incubo non accetta il caso e due mesi dopo, intrappolato nel traffico, decide di imboccare uno svincolo e guarda caso qui s’imbatterà proprio nel mostro di Crossbones, ovvero le sorelle di cui sopra.

Così De Nardo giustifica questa incredibile combinazione: “Ma è risaputo che al destino piace farsi beffe degli uomini e, ancora di più, accanirsi su alcuni di loro.”

No comment. Iniziata male, la storia prosegue peggio, per colpa di una sceneggiatura confusa e prevedibile. De Nardo basa tutto sull’ambiguità tra le sorelle: sono in effetti due oppure è solo una che soffre di sdoppiamento della personalità? La risposta la si capisce subito (non è difficile, De Nardo cerca smaccatamente di farci credere il contrario) e quindi il colpo di scena nelle ultime pagine non è affatto tale.

Unica nota positiva dell’albo sono i disegni. Nicola Mari è probabilmente uno degli artisti su cui più si dividono i lettori: certo, non ha un tratto molto dettagliato e inoltre la sua interpretazione di Dylan a volte è un po’ troppo personale, ma penso che tavole di una simile forza espressiva vadano apprezzate a prescindere dallo stile.

Mari è bravissimo a trasmetterci le atmosfere morbose, il dolore di Dylan, l’alienazione delle due sorelle. I neri sono ben distribuiti e contribuiscono a dare alle tavole un equilibrio in contrapposizione allo squilibrio mentale che raffigurano. Insomma, la sua è una prova davvero notevole, intensa e omogenea dall’inizio alla fine. I detrattori si dovranno ricredere.

 

(19/6/2003)

 

   

 

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