Il crollo di un mito: Dylan Dog

di Fabio Volino

 

(c) Sergio Bonelli EditoreVi era un tempo, non troppi anni fa, in cui Dylan Dog costituiva il fulcro del fumetto italiano, l' albo più innovativo ed originale del parco testate Bonelli. Un tempo in cui la lettura di questo albo per me era tra i momenti più piacevoli ed attesi della giornata.

Già, Dylan Dog, personaggio nato quasi per caso nel settembre 1986 da una idea riciclata di Tiziano Sclavi (che voleva che il suo investigatore fosse l' italiano Francesco Dellamorte) e subito tramutatasi in un pieno successo. Perchè? Perchè Dylan Dog rompeva tutti quelli che erano gli schemi finora visti sugli albi Bonelli, proponeva storie che avevano finalmente il coraggio di osare qualcosa in più del consueto e dava vita ad un personaggio davvero a tutto tondo, uno dei più complessi ed affascinanti che si fossero mai visti. Un personaggio reale, davvero vissuto, che cercava nelle donne il volto perfetto, quello di sua madre, la donna al centro del suo cuore.

Un albo che divenne, e giustamente, il salvatore della patria fumettistica, in quegli anni appiattitasi su livelli molto bassi, non solo di vendite. Perchè l' unica maniera per far comprare un fumetto è proporre una bella storia, basta solo questo, poi bisogna solo affidarsi ad un mezzo infallibile: il passaparola. E Dylan Dog di storie belle nei suoi primi anni di vita ne ha proposte molte. Sfido chiunque a rileggersi i primi 52 albi, speciali compresi, e dire quante storie brutte vi ha trovato, credo si contino sulle dita di una mano. Storie in cui abbiamo visto Dylan affrontare Xabaras più a livello onirico che fisico, in cui lo abbiamo visto dichiarare il suo amore ad una sola donna, Bree Daniels, una prostituta, in cui abbiamo fatto la conoscenza di una Londra nebbiosa e misteriosa come mai l' avevamo vista, una città nella quale potevamo ritrovare tutte quelle che erano le nostre angoscie, le nostre idiosincrasie. In cui in pratica era riflesso lo specchio della nostra anima.

(c) Sergio Bonelli EditoreA Sclavi, che sceneggiò gran parte di questi albi, si aggiunse dopo qualche tempo Claudio Chiaverotti che, pur non raggiungendo mai le vette del suo mentore, riuscì spesso a donarci storie intense ed appassionanti come "Goblin", una delle mie preferite. In generale l' albo si mantenne su buoni livelli per qualche anno ancora, sfornando altri capolavori, fino al nr. 88, all' albo "Oltre la Morte", che per me rappresenta la fine di un' era. Con quest' albo il vecchio Dylan Dog, quello a cui eravamo più affezionati, scompare, disperso nella Zona del Crepuscolo o chissà dove, e lascia il posto ad un altro, un Dylan Dog che sembra il clone di sè stesso.

Non è forse un caso che proprio in quel periodo Sclavi inizi a diradare la sua collaborazione alla testata, prendendosi spesso lunghe pause e facendo solo sporadiche apparizioni. L' albo viene allora lasciato ai suoi epigoni Chiaverotti e Mignacco, ma quello che ne esce non è minimamente all' altezza della situazione, addirittura i due albi che precedono il nr. 100 sono tra i più brutti che io abbia mai letto! E poi il 100, già, con l' atteso ritorno di Sclavi e la rivelazione del passato di Dylan. Sono forse l' unico ad esserne alla fin fine rimasto deluso? Una storia che avrebbe dovuto risolvere la questione Xabaras/Dylan, ma che poi si risolve in una megasparatoria con finale scialbo e piatto. Insomma, Dylan Dog ci aveva sempre stupito con trovate straordinarie, a non dare mai per scontato ciò che veniva fatto passare per "realtà": quanti perciò avevano creduto al fatto che Xabaras fosse davvero il padre di Dylan, clichè trito e ritrito? E invece è stato proprio così! Con quest' albo è stato come se Dylan Dog avesse perso per sempre la sua carica "eversiva" di un tempo, la sua capacità o voglia di osare.

(c) Sergio Bonelli EditoreE gli albi seguenti non hanno fatto che confermare questa impressione. Un tempo, leggendo la lista arretrati, associavo ogni titolo a sensazioni diverse, ricordando con piacere la storia e i suoi personaggi. Oggi, se provo a leggere i titoli degli albi susseguenti al 100, davvero pochi suscitano in me questa sensazione. Intendiamoci, non tutti sono da buttare, ogni tanto l' albo bello esce (ad es. "Finchè Morte non ci separi"), ma sono appunto casi sporadici. Addirittura si arriva al punto di concedere un bis ad un albo capolavoro, come nel caso di "Johnny Freak", con risultati che è meglio non commentare (avevano pensato di farlo anche in merito a "Il Lungo Addio", ma per fortuna pare abbiano desistito).

Le pause di Sclavi si fanno sempre più lunghe (e le rare volte che torna si sente che manca qualcosa al suo tocco da maestro), Chiaverotti non c'è più, poichè volto a curare "Brendon", uno dei più orridi albi Bonelli mai letti, soprattutto a livello di testi (l'ho segato dopo due numeri, ho fatto male?). E dunque? Dunque oggi le sorti della testata si reggono soprattutto sulle spalle di due giovani sceneggiatori: Pasquale Ruju e Paola Barbato. Con loro si è verificato un fenomeno anomalo, ma che in futuro si potrebbe rivelare sempre più frequente, un fenomeno di cui ha parlato anche Michele Medda in una sua recente conferenza.

In pratica oggi gli sceneggiatori, stante la carenza di prodotti fumettistici nostrani, difficilmente hanno possibilità di farsi le ossa, vengono subito proiettati su testate principali e prima che prendano la mano col personaggio e con le atmosfere della storia ci vuole un po' di tempo. Prima invece vi erano molti piccoli editori, dalla vita breve, è vero, ma in cui si sono formati molti degli sceneggiatori che in seguito hanno lavorato per la Bonelli. Oggi questo non accade più.

(c) Sergio Bonelli EditoreE qual è la conseguenza? Molto semplicemente, l'appiattimento delle trame e del personaggio. Dylan Dog non è più quel personaggio a tutto tondo dei suoi primi anni di vita editoriale, sembra a volte quasi un fantasma all' interno della (fragile) architettura della storia, che incappa nell' incubo per caso e non più spinto da brama di conoscere quello che è l' orrore della realtà quotidiana, come accadeva un tempo. La forza di Dylan Dog era il fatto che fosse un uomo in cui chiunque poteva identificarsi, chiunque di noi cerca di capire quale sia la molla che spinge l' umanità ad atti malvagi e si chiede se anch' egli non abbia dentro di sè un pizzico di follia. Oggi, invece, Dylan è un personaggio di fumetti come tanti altri, che passa senza che noi ce ne accorgiamo. Eppure l' orrore dentro e fuori di noi è ancora ben presente, quel mistero chiamato umanità è ben lungi dal trovare una soluzione.

Non parliamo poi dei personaggi comprimari delle storie: sembrano tutti fatti con lo stampino. Tutti sfigati a dire:"Ah, la vita, come è ingiusta. Come faccio ad andare avanti? Perchè l'umanità è così cattiva? Ma c'è l'amore, sì! Io credo nell' amore!". Ecco, detto e ripetuto all'infinito alla fine può stancare. Voi direte: ma perchè, prima non era così? Certo, ma ogni prodotto, ogni storia, riusciva nel suo piccolo ad essere diversa da tutte le altre e soprattutto ogni personaggio aveva una sua precisa identità.

Pensiamo ad esempio alle donne amate di Dylan Dog, ognuna aveva un qualcosa di magico (alcune più di altre), di affascinante, di sensuale. Oggi... sembrano solo esseri svenevoli in attesa di calarsi tra le braccia del buon investigatore dell' incubo. Ecco, l' incubo, dove è andato a finire? Oggi Dylan affronta solo quelli che sono gli orrori della società, con ovvia preponderanza di un tema abusato come i serial killer, e non più gli orrori della nostra coscienza, della mente umana. Che erano poi quelli che ci coinvolgevano maggiormente. Niente più Xabaras, niente più Mana Cerace, niente più dottor Hicks, niente più Uomo Invisibile. Solo esseri privi di consistenza, di personalità, quasi irreali nei loro comportamenti, volti solo a creare un caos di cui non si capisce bene la funzionalità. E' sparita quella che era la dimensione onirica, sognatrice di Dylan Dog, in cui ci calavamo nell' orrore e cercavamo di analizzarlo in ogni suo aspetto, in ogni sua caratteristica. Oggi viene semplicemente narrata una storia di cui molto spesso non ci viene fornita alcuna chiave interpretativa, il male esiste e tanto ci deve bastare, niente più analisi, niente più sogni. Solo la dura, e per questo ancora più triste, realtà.

(c) Sergio Bonelli EditoreC'è una spiegazione dietro a tutto ciò? Secondo me sì ed è lo sfruttamento eccessivo del personaggio. Prima Dylan Dog si reggeva solamente su un albo mensile ed uno speciale annuale. Ed era a mio parere  l' optimum. Poi, come sempre accade quando un personaggio dei fumetti diventa un fenomeno di costume, i prodotti su di lui sono proliferati: Almanacco della Paura, Dylan Dog Gigante, Maxi Dylan Dog, team-up con altri personaggi Bonelli, miriadi di apparizioni su riviste o testate minori. Risultato: la perdita delle potenzialità del personaggio in pochi anni, di cui pare essere stato detto tutto ed il contrario di tutto. Perchè quando ci si concentra su un prodotto esclusivamente mensile, i risultati sono sempre migliori di quelli che ci si può aspettare quando ci si deve occupare di scrivere decine di altri racconti per testate parallele. Ma le leggi del mercato sono implacabili e vincono sempre, anche se ciò va a discapito della lettura.

Cosa abbiamo oggi? Un Tiziano Sclavi sempre più stanco della sua creatura, di cui scrive una avventura ogni morte di papa da tempo (forse anche lui ha ormai capito che per Dylan Dog il discorso è chiuso da molto tempo) ; due sceneggiatori che hanno dato ottime prove iniziali, ma che oggi si nascondono dietro clichè di cui francamente si potrebbe fare a meno e che li porta a concepire trame perlopiù banali e scontate, con finale niente affatto a sorpresa. Per favore, basta serial killer, è un tema su cui non si sa più cosa dire. E se qualcuno ci prova, scade nell' ovvio.

In sintesi, un albo che si avvia lungo la strada del tramonto. Per carità, vende e venderà ancora moltissime copie, ma decisamente non è più come un tempo. A volte chi guarda al passato viene fatto passare come un retrogrado, che non sa apprezzare al meglio ciò che viene proposto oggi. Ma se i prodotti del passato sono un modello a cui ispirarsi, perchè non guardare ancora ad essi?

Vi era un tempo, non troppi anni fa, in cui Dylan Dog costituiva il fulcro del fumetto italiano, l' albo più innovativo ed originale del parco testate Bonelli. Un tempo in cui la lettura di questo albo per me era tra i momenti più piacevoli ed attesi della giornata. Torneranno questi momenti? La risposta purtroppo non è alla nostra portata.

(26/10/2001)

 

   

 

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