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Anni
intrepidi
di
Daniele
D’Aquino
Insieme
a
"Il
Monello"
è
stata
una
delle
riviste
italiane
più
longeve
e
popolari;
pubblicato
dalla
Universo,
nei
suoi
54
anni
di
vita
ha
ospitato
moltissimi
grandi
autori
nostrani
e
stranieri,
senza
dimenticarsi
tuttavia
degli
autori
meno
affermati.
Con
il
suo
nome
un
po'
retrò,
che
evoca
un
eroe
d'altri
tempi,
Intrepido
ha
appassionato
almeno
tre
generazioni
di
lettori,
proponendosi
come
contenitore
di
storie
che
spaziavano
dal
western
alla
fantascienza.
Per
motivi
anagrafici
il
periodo
editoriale
a
me
più
vicino
è
quello
degli
anni
'90,
decennio
caratterizzato
da
alti
e
bassi,
da
numerosi
cambiamenti
e
purtroppo
anche
dalla
chiusura
della
testata,
avvenuta
nel
1998.
In
questi
ultimi
8
anni
sono
mutati
periodicità,
formato,
impostazione
grafica,
contenuti.
Ci
sono
stati
momenti
difficili,
come
il
processo
per
oltraggio
alla
morale
contro
alcuni
sceneggiatori
e
disegnatori
che
fortunatamente
vennero
assolti.
Ci
sono
stati
molti
momenti
infelici,
soprattutto
quando
nel
93-94
la
rivista
assunse
un
taglio
fastidiosamente giovanilistico:
articoli
su
vip,
moda,
televisione,
insulse
storie
metropolitane
condite
con
un
insulso
linguaggio
da
discoteca
e
(rullo
di
tamburi)
un
angolo
della
posta
gestito
da
Jo
Squillo
(sì,
proprio
lei,
che
in
coppia
con
Sabrina
Salerno
ci
aveva
"deliziato"
con
"Siamo
donne"
e
che
nei
fantastici
anni
'80
in
abbigliamento
punk
cantava
la
discutibilissima
"Violentami"…)
Ma
ci
sono
state
anche
cose
positive,
come
gli
esordi
di Esp,
Sprayliz
e BilliBand,
serie
che
poi
hanno
avuto
l'onore
di
una
testata
tutta
loro.
Ci
sono
state
storie
gradevoli
e
bei
disegni.
Ci
sono
stati
i
debutti
di
molti
giovani
autori.
E
soprattutto
c'è
stata
la
svolta
del
1995:
da
volume
brossurato
di
carta
scadente
si
passò
ad
un
più
curato
albo
spillato,
ritornarono
le
tavole
a
colori,
i
redazionali
si
fecero
più
interessanti.
Via
Jo
Squillo,
via
le
rubriche
extrafumettistiche
e
la
qualità
complessiva
migliorò
notevolmente.
Ma
la
crisi
era
nell'aria
e
dall'Aprile
'97
Intrepido
diventa
un
bimestrale
di
160
pagine
senza
rubriche,
tentativo
di
ridurre
i
costi
tanto
evidente
quanto
vano:
la
gloriosa
rivista
(in
passato
l'avrebbero
definita
"giornaletto")
chiuse
i
battenti
l'anno
successivo.
Sinceramente
sento
un
po'
la
mancanza
dell'Intrepido,
di
quelle
storie
brevi
e
fulminanti,
delle
miniserie
a
più
ampio
respiro,
della
fantasia
che
non
doveva
soggiogare
alla
serialità
e
ad
un
numero
di
tavole
prestabilito,
dei
piccoli
capolavori
di
Baggi
come
autore
completo
e
delle
sue
copertine,
della
commistione
di
stili
e
generi
diversi.
Con
la
morte
dell'Intrepido
viene
a
sparire
il
contenitore
di
fumetti
italiani
a
grande
tiratura
e
diffusione.
Ci
sono
le
fanzine autoprodotte,
le
riviste
indipendenti
e
i
piccoli
editori,
è
vero,
ma
sono
sempre
di
meno
e
di
solito
si
tratta
di
prodotti
dalla
vita
editoriale
travagliata
che
faticano
a
raggiungere
le
1000
copie.
Sono
però
proprio
questi
prodotti
ormai
l'unica
palestra
in
cui
gli
esordienti
possono
iniziare
la
gavetta
necessaria
per
farsi
le
ossa
e
farsi
conoscere
nel
mondo
dei comics.
Non
bisogna
stupirsi
quindi
se
vediamo
su
grandi
testate
autori
la
cui
unica
esperienza
precedente
è
stata
qualche
collaborazione
a
riviste
amatoriali
e
se
quegli
stessi
autori
faticano
molto
prima
di
realizzare
qualcosa
di
qualità.
Intrepido,
eroe
d'altri
tempi,
dove
sei?
(15/04/2002)
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