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Carmine Di Giandomenico a cura di Stefano Perullo
Adagiato sul comodo, almeno speriamo, divano del nostro salottino virtuale questa settimana c'è un giovane autore molto promettente. Nel darti il benvenuto ti sottopongo al solito tormentone con cui inizio le mie chiacchierate: chi è Carmine Di Giandomenico?
Sono nato a Teramo venerdì 13 L aprile 1973. Ho iniziato ad amare il disegno guardando la tv come fanno molti bambini; ai miei tempi davano "Goldrake", "Jeeg Robot" ecc. Il vero amore, quello per i fumetti, è nato quando ho scoperto "I Fantastici Quattro" di Kirby, "L'Uomo Ragno" di Romita Sr. ecc., più o meno all'età di 11 anni. Poco tempo dopo, comunque, mi sono illuso di essere cresciuto e ho creduto che questa passione fosse ormai terminata, così ho abbandonato i fumetti per dedicarmi al calcetto, agli amici e (poco) alla scuola, senza preoccuparmi più di tanto di cosa avrei fatto della mia vita. Solo nel 1987 ho riscoperto "L'Uomo Ragno", edito da Star Comics. Cominciai a disegnare con continuità insieme ad un gruppo di lavoro bellissimo, formato da Adriano De Vincentiis, Cristiano Donzelli e Cristian De Matteis.
La prima volta che ho sentito parlare di te (una decina di anni fa circa) fu in una intervista rilasciata da Daniele Brolli, se ricordo bene, sulle pagine di Fumo Di China. All'epoca il progetto "Italia XXII secolo" era ai nastri di partenza, Brolli parlò molto bene di te. Dopo alcuni mesi nelle librerie specializzate di tutta la penisola vide finalmente la luce EXAMEN. Tu eri davvero in gran forma, non avrei mai pensato che tu fossi un esordiente. Cosa mi racconti di quella tua prima esperienza?
"Examen" è stato il mio primo lavoro, nel 1994/1995, realizzato con Daniele Brolli, che per me è stato un bravo maestro. Lui e Giuseppe Palumbo mi hanno dato moltissimo dal punto di vista della crescita tecnica, e per me quel periodo rimane un'esperienza positiva, sebbene sia dovuta poi terminare. Io realizzai i primi quattro numeri, dopodiché la collaborazione si interruppe e la serie andò avanti disegnata da altri. Il loro contributo al mondo del fumetto italiano è stato ed è determinante, visto che hanno dimostrato che è possibile narrare storie in modo assolutamente originale. Queste iniziative vengono troppo spesso sottovalutate, meriterebbero riconoscimenti diversi e più ampi consensi.
Il progetto di creare un pantheon di super eroi completamente Made in Italy era molto ambizioso, ma ritengo che il progetto nel suo insieme fosse davvero ben fatto. Come mai, secondo te, ebbe una vita tanto travagliata?
Non mi sembra che "Examen" abbia avuto una vita tanto travagliata, considerando anche il modo in cui è stato accolto dalla critica e dal pubblico; forse il problema principale sta nel fatto che era un prodotto destinato solo alle librerie specializzate, per cui fruibile solo da un ristretto numero di appassionati. Consideriamo anche che questo tipo di mercato stava nascendo proprio in quel periodo, quindi era poco conosciuto.
La miniserie dedicata ad EXAMEN (davvero notevole - NdStefano) fu uno dei pochi progetti portati a termine, eppure fu caratterizzato dai tempi di realizzazione lunghissimi. Ci puoi spiegare i perché di tanta attesa tra un numero ed un altro? (Mi rendo conto che è passato moltissimo tempo … ma è una curiosità che mi porto con me da anni! NdStefano)
I tempi lunghi furono dovuti a due eventi in particolare: la trasformazione della "Telemaco" in "Phoenix Enterprise", con tutte le complicazioni burocratiche che Brolli dovette affrontare, e il mio servizio civile, che mi impedì di lavorare con assiduità. Considerando che era anche il mio primo lavoro, mi trovai per la prima volta ad affrontare in maniera concreta i problemi relativi ai tempi di realizzazione di una tavola e alle consegne.
Dopo la conclusione della miniserie dedicata ad Examen, ricordo che ti dedicasti ad un progetto autoprodotto. Ancora un super eroe, questa volta calato nella "classica" realtà newyorkese. Come mai tentasti la strada dell'auto-produzione?
Nel 1996 io e Cristian De Matteis lavoravamo per una piccola casa editrice di Teramo, la "Stylo", e così decidemmo di autoprodurre una nostra opera, "Lovelorn Man", numero 0. Fu un esperimento, il frutto di un sogno che nutrivamo da tempo, e devo dire che il prodotto fu molto apprezzato anche dalla critica. Era tutto nostro, e devo ammettere che ancora oggi qualcuno mi chiede perché non lo abbiamo portato avanti fino alla fine. Era bella l'idea dell'aspirante supereroe che non ha nessun superpotere ma che decide di realizzare il suo sogno proprio in quella terra dove si dice che i sogni diventino realtà. Il progetto ha trovato molte difficoltà tecniche di realizzazione, e dopo un ormai introvabile numero 1, è stato definitivamente abbandonato.
A questo punto della tua carriera, lo confesso, ho perso le tue tracce … solo per ritrovarti alcuni anni dopo sulle pagine di vero e proprio piccolo evento editoriale: Le strabilianti avventure di Giulio Maraviglia; cosa hai fatto in questo lasso di tempo?
È stato un periodo di alti e bassi. Contemporaneamente al lavoro con Brolli portai avanti l'ideazione grafica dei personaggi di "Gemini", miniserie apparsa sulla collana "Europa" per la Marvel Italia, in collaborazione con Francesco Meo e Giorgio Lavagna. In seguito ho avuto l'occasione di collaborare al cinema con Tsui Hark e, insieme ad Adriano, Cristian e Cristiano, abbiamo lavorato agli story-boards di "Double Team", un film con Jean-Claude Van Damme. Infine ho realizzato una serie di cards in stile adventure per la Marvel Italia, una delle quali è stata utilizzata come copertina di un numero de "L'Uomo Ragno pocket". Nel contempo, per sopravvivere, ho lavorato nei campi più disparati: ho dipinto vetrine di negozi, pareti di bar, ho pulito scale e fabbriche in disuso, insomma mi sono arrangiato come meglio ho potuto.
Da qualche parte ho letto che hai realizzato una avventura di Conan il Barbaro (su testi del veterano Chuck Dixon). Una avventura che mi sembra non sia mai stata pubblicata in Italia. Cosa ci puoi dire di questa vicenda?
Nel 1997 mi chiamò Francesco Meo e mi chiese se avevo voglia di disegnare un numero di "Conan il Conquistatore" sceneggiato da Chuck Dixon per il mercato argentino. Io ho accettato con entusiasmo, anche perché Dixon è lo stesso che ha scritto "Il Punitore" di John Romita Jr. In quella occasione ho avuto modo di capire quanto fosse diversa una sceneggiatura americana rispetto ad una italiana. Al di là dell'oceano si preoccupano molto meno di noi di dare indicazioni dettagliate al disegnatore sulle inquadrature, sul minimo particolare dello sguardo, ecc. Alla fine mi sono divertito un mondo a far muovere io tutti i personaggi, a studiare e a disporre le vignette nel modo appropriato.
Per molto tempo si è parlato di questa tua collaborazione con la Marvel Italia e della possibilità che tu approdassi alla Casa delle Idee. Come mai alla fine non se ne è fatto nulla?
Che io dovessi approdare alla Casa delle Idee non ne ero a conoscenza! Devo ammettere però che mi sarebbe piaciuto moltissimo! Ho collaborato solo con la Marvel Italia (Panini) per i vari progetti già citati, ma se mi offrissero di disegnare un Daredevil mica rifiuterei!
Nel corso del tempo (prendo come riferimento Examen e Giulio Maraviglia) il tuo stile si è evoluto moltissimo, passando da un tratto cinetico, molto adatto al genere super eroistico, ad uno più classico ma, nel contempo, più personale. Questo cambiamento è il frutto di una tua naturale evoluzione o, magari, di una ricerca stilistica più adeguata al mercato italiano?
Ho sempre pensato che non si possa parlare di linea italiana o linea francese o stile americano. Ciò che è veramente importante nel fumetto è la sua capacità di narrare, di costruire un impianto cinematografico, il disegno in sé assume un aspetto decisamente secondario, sebbene è evidente che nulla debba essere lasciato al caso. Il mio stile, nel corso degli anni, si sarà anche modificato, ma non certo per una questione di mercato; è stata un'evoluzione assolutamente naturale, priva di qualsiasi intento specifico. Evidentemente il cambiamento è stato causato dalle varie esperienze che ho vissuto e che mi hanno influenzato.
Le avventure di Giulio Maraviglia hanno incontrato un notevole consenso sia di pubblico che di critica. Più volte si è parlato di dar loro un seguito. Quando prevedi che potremo finalmente leggere le sue nuove avventure?
Molto presto, non appena sarò più libero! Questa è una promessa, sia da parte mia che da parte di Alessandro Bilotta, il quale già sta lavorando sulle sceneggiature della prossima miniserie. Purtroppo quest'attesa è dovuta al fatto che sono un disegnatore solitario e, non avendo una equipe, i miei tempi di realizzazione sono molto rallentati. Probabilmente ci sarà una sorpresa alla prossima fiera del fumetto a Lucca.
Giulio Maraviglia custodisce moltissimi spunti di elevatissimo interesse, ad esempio l'idea di una commistione tra futurismo e fumetti, con ampie citazioni alla letteratura fumettistica del passato, l'ambientazione italiana, tanto stranamente desueta per noi e così via … come è nato un personaggio tanto singolare?
Il personaggio di Giulio è nato dalla fantasia di Alessandro, che voleva raccontare la sua Roma immergendola nel fascino di un'ambientazione dai sapori anni '30, con le sue leggende e i suoi miti. Al primo colloquio ho intuito ciò che lui aveva in mente e subito è esplosa la sintonia su alcuni particolari, come la quotidianità e l'ironia che contraddistinguono il carattere di Giulio. Altro fattore importante è lo spessore culturale dell'opera, che la rende sicuramente vincente.
Il progetto editoriale della Montego è nato dalla volontà di un gruppo di autori di auto-prodursi i fumetti che desideravano pubblicare associandoli alla qualità ed alla professionalità consolidati solo nei "grandi" editori. Oggi, secondo te, il progetto della Montego è ancora valido, oppure ognuno di voi componenti di quel gruppo ha intrapreso la sua strada?
Sono entrato alla Montego quando la struttura era già avviata, quindi non so dirti se gli altri autori abbiano preso strade diverse. So solo che la Montego è aperta alle proposte che chiunque, in qualsiasi momento, abbia voglia di realizzare, a patto che siano storie di una certa validità. È una struttura che a mio avviso può dare molto al "mercato" italiano, fornendo prodotti di alta qualità.
Subito dopo Giulio Maraviglia hai contribuito, ancora una volta in coppia con Biliotta, al lancio de "la Dottrina". Potresti raccontarci che cos'è, quale spirito incarna, La Dottrina?
"La Dottrina" ha una struttura narrativa molto complessa, sia dal punto di vista della sceneggiatura sia per quanto riguarda la realizzazione grafica. Ammetto di avere incontrato qualche difficoltà, vista l'asetticità degli ambienti e una struttura della gabbia molto rigida, dove non c'è spazio per una narrazione dinamica come quella di Giulio. La incarna uno spirito teso a scuotere le menti immergendole per un attimo in una realtà claustrofobica perennemente soggetta al controllo dittatoriale. Fonte di angoscia è soprattutto l'incapacità della massa di accorgersi dell'effettiva esistenza di una dittatura.
La presentazione de "La Dottrina" ai lettori si è presentato in un modo davvero inedito per il mercato italiano. Una campagna pubblicitaria molto aggressiva fatta attraverso molti mezzi di informazione. Secondo te ha giovato al successo del primo numero?
Ha giovato moltissimo, viste le molteplici discussioni avvenute su di essa. Personalmente non capisco tutte queste grida che si sono levate non dai lettori ma dai membri del settore. Sono io che vorrei domandare loro se criticano con lo stesso ardore le campagne promozionali americane. Tutto sarebbe stato più semplice e divertente se ognuno avesse preso le cose per quello che sono davvero, ossia semplice marketing, strutturato un po' ironicamente a ricordare quell'atmosfera dittatoriale che si ritrova poi nel volume.
Sul sito internet www.jonathansteele.com ho visto delle tavole da te disegnate per il biondo avventuriero della Sergio Bonelli Editore, come mai la tua collaborazione con l'editore di via Buonarroti non è continuata?
Delle tavole su Internet non sapevo nulla, visto che non navigo molto. Con la Bonelli ho realizzato delle tavole di prova, oltre che per Jonathan Steele anche per Dylan Dog, depositate nell'ormai famigerato "archivio", nella speranza che qualcuno noti la cartellina; speranza vana, la vedo come il finale di "Indiana Jones e l'arca perduta".
Ed ecco una domanda spinosa … ma sai il dovere di cronaca mi impone … vediamo: chiunque ha stretto tra le mani il numero zero di John Doe (nuovo personaggio dell'Eura a breve in edicola) ha visto le tue tavole di prova. Successivamente si è diffusa la notizia che tu eri venuto meno all'impegno preso e si è messa in discussione la tua affidabilità e la tua serietà professionale. Cosa vuoi dire a coloro che ti hanno accusato e, invece, qual è il tuo punto di vista su questa spiacevole e spinosa questione?
Riguardo a questa "spinosa" vicenda posso dirti che non era mia intenzione creare malumori inutili e imbarazzanti. È solo la storia di un rapporto di lavoro finito, anzi mai cominciato, come accade migliaia di volte nel mondo ogni giorno. Sicuramente mi sono ritrovato all'improvviso in una situazione lavorativa abbastanza complessa, per me importantissima. Ho fatto una richiesta che non è stata accolta, mi sono state proposte alternative che ho ritenuto poco adatte a me, e la storia finisce qui.
Oltre a disegnare fumetti ho scoperto che hai disegnato degli story board per il cinema ("Gangs of New York" di Martin Scorsese tra gli altri). Che differenza c'è tra il disegnare una tavola ed uno story board?
Sostanzialmente le differenze sono due: la prima è che lo storyboard non esige una realizzazione tanto accurata quanto, in genere, una tavola a fumetti; si tratta di un lavoro più approssimativo, teso soprattutto a dare delle "indicazioni", dunque ha una funzione sostanzialmente pragmatica; il suo si potrebbe definire quasi uno stile "non finito". La seconda è che, secondo le indicazioni del regista, le scene devono essere calcolate e ponderate, facendo attenzione a problemi come ad esempio lo scavalcamento di campo. Nel fumetto la telecamera può muoversi come vuole.
Qual è il procedimento creativo con cui ti approcci ad una tavola?
Sono disordinato a disegnare come a mettere a posto le mie cose! Comincio realizzando bozze a matita quasi definite, poi squadro la tavola, e nel frattempo rilasso i neuroni, e infine passo al dunque, inchiostrando prima quello che mi piace di più, poi le cose più noiose.
Quali sono i tuoi strumenti di lavoro?
Foglio 35x48 Fabriano A4 liscio. Matite casuali e pennarelli usa e getta. Per i colori acquerelli e Pantone.
Quanto tempo impieghi per disegnare una tavola?
Dipende, in media due-tre giorni, sempre se il cane non mi costringe a uscire.
Quali autori rappresentano, o hanno rappresentato, le tue fonti di ispirazione?
Principalmente Frank Miller per la narrazione, Loeb e Tim Sale per il loro minimalismo, Rick Leonardi e John Romita Jr. per il dinamismo delle anatomie. Tra gli italiani Casertano, Palumbo e Dall'Agnol. In ogni caso ne sono moltissimi da elencare, soprattutto autori anni '80 del fumetto americano.
Che consigli ti sentiresti di dare a chi, come te, desidera intraprendere la carriera di disegnatore?
Ci vuole una forte dose di determinazione, le occasioni arrivano spesso con molta lentezza, ma non bisogna scoraggiarsi se ci si crede davvero. Prima o poi, se si è validi, una strada si trova. L'importante è non essere timidi nel presentarsi alle case editrici, e soprattutto di non mandare terzi o parlare per terzi. La forza fondamentale si trova in se stessi.
Una volta terminata la Dottrina, quali altri progetti hai in cantiere?
Il mio primo pensiero è quello di poter pubblicare la mia opera, "Oudeis". Appena terminata "La dottrina" tornerò su "Giulio Maraviglia" e nello stesso tempo, insieme ad Alessandro, stiamo vagliando altri nuovi progetti.
Credo che per me sia davvero tutto, vuoi aggiungere qualcosa?
No, avrei solo voglia di un caffè!
Grazie Mille!
Grazie a te. Quanto ti devo per il caffè?
(13/5/2003)
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