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Mario Alberti di Stefano Perullo
Il salottino virtuale di AmazingComics.it si sta trasformando ormai in una Hall of Fame, una vera e propria
sezione dedicata a chiacchierate con il gotha degli artisti italiani. Non
poteva mancare, dunque, all’appello Mario Alberti, giovane talento in
forza alla Sergio Bonelli Editore e prossima stella del Comicdom
d’oltreoceano. Ciao Mario e benvenuto e su Amazing Comics, come è ormai
mia consuetudine ti invito a presentarti ai nostri lettori parlandoci un
po’ di te: chi è, dunque, Mario Alberti? Non
è che io ami particolarmente scrivere di me e mi meraviglierebbe anche
sapere che a qualcuno interessa dell’uomo Mario Alberti più che dei suoi
fumetti. Facciamo così: ripeto quanto detto su "Lo
Spazio Bianco”… mi ci
riconosco abbastanza. ...hai presente quando da bambino ti domandano cosa farai da grande e rispondi l'astronauta? Ecco, io faccio l'astronauta. Senza rischi e senza far danni. A casa, in pantofole, l'estate perfino in mutande. Sono nato nel '65 e uno dei ricordi più vecchi che ho è mia mamma che mi legge Topolino. Ecco qua, tutto il resto sono incidenti di percorso. Dalla maestra che si preoccupa perché disegno solo Paperini a oggi è stato tutto un copiare, rubare i trucchi. A Cavazzano, Magnus, Pazienza e poi Romita (in effetti a un certo punto ho anche sperato di esser punto da un ragno radioattivo), Moebius, Otomo, Shirow, Mignola, per fare solo qualche nome. Ho copiato di tutto da tutti, sarebbe impossibile elencarli. Il mio primo personaggio era un polipo re dei mari, in tuba e mantello. Si chiamava Polip e nei baloon le lettere erano messe a caso perché ancora non sapevo scrivere. Poi mi sono un po' perso, ho fatto il liceo scientifico prima e economia e commercio poi, giocandomi la possibilità di costruirmi una preparazione accademica. Non ho ancora deciso se è stato un bene o un male, però. A
un certo punto, ero già alla tesi, qualcuno mi ha dato una copia di una
copia di una copia di "Laputa" di Hayao Miyazaki. E' stato
come risvegliarsi, da allora non mi sono fermato più. Ah,
una cosa: rifiuto categoricamente la nozione di appartenere al “gotha”
degli autori italiani! Ah! Ah! Vabbè, permettimi almeno di inserirti nel mio personalissimo gotha di grandi autori! Perché poi, questo rifiuto? Non ti senti ancora pronto per confrontarti con i nomi che hanno fatto grandi le italiche “strisce”?
Be’,
ti ringrazio ma, al di là dei gusti che sono certamente una faccenda
individuale, di un gotha vedrei far parte solo quelli che hanno dato un
contributo determinante all’evoluzione o all’interpretazione del
linguaggio fumetto, cosa che io sono ben lontano dall’aver fatto e
dall’avere la capacità artistica di fare. Preferisco considerarmi un buon
artigiano in grado di far bene il suo mestiere.
Dopo un inizio su Fumo di China (la nota rivista di critica all’inizio degli anni ’90 presentava anche opere di giovani autori esordienti del livello di Alberti, Casini e Rosenweig – NdStefano) ed un rapido passaggio sull’INTREPIDO (anch’esso all’epoca palestra di molti, interessantissimi esordienti) sei finalmente approdato alla Bonelli. E’ stato difficile, per un autore dallo stile personale come il tuo, riuscire ad entrare nella scuderia degli autori in forza all’editore di Via Buonarroti?
Più delle difficoltà ricordo l’enorme soddisfazione di esserci arrivato: “Col tuo stile non ti prenderanno mai” era diventato un tormentone. E magari era anche vero, prima delle serie di Antonio Serra; Antonio ha il merito di aver aperto le porte della Bonelli a tanti autori che ai personaggi “classici” non si sarebbero nemmeno potuti avvicinare. L’iter
è stato il solito, credo: prove, prove e ancora prove su una sceneggiatura.
La difficoltà maggiore è stata centrare Nathan, anche nell’albo le sue
facce sono state rifatte allo sfinimento.
Le correzioni sul volto di Nathan sono state rifatte da te, o da qualcuno dei disegnatori dello staff della Bonelli? Cosa ne pensi della abitudine di apportare correzioni sulle tavole dei disegnatori?
Ho sempre dato la massima disponibilità a correggermi da solo le tavole per cui, salvo casi dell’ultimo minuto, i rimaneggiamenti sono tutti miei. Credo venga sempre data la possibilità al disegnatore di intervenire sulle sue tavole ma qualche volta tempo e altri impegni lo rendono impossibile, in quel caso ci pensano all’interno della redazione. Quanto alle correzioni: c’è una persona, il curatore della serie, responsabile degli albi e della loro realizzazione; è lui ad avere l’incarico di decidere se una cosa funziona o no e a dover valutare eventuali problemi di leggibilità o riconoscibilità dei personaggi, la cosa può dar fastidio a chi è dotato di una personalità troppo “artistica” e vive le modifiche al suo lavoro come un insulto alla sua sensibilità ma fa parte delle regole del gioco.
Il tuo primo incarico alla Bonelli è stata una delle storie da me più amate di Nathan Never: “il canto della balena”. Una storia molto poetica ed ottimamente disegnata. Quanto impiegasti a completare quel tuo primo albo? E che difficoltà, ammesso che ne incontrasti, hai avuto nello stabilire un feeling con Antonio Serra (sceneggiatore della storia – NdStefano)?
Uno dei motivi per cui fui preso, forse, fu anche che promisi trenta pagine al mese. Promessa che mi toccò mantenere subito, finendo l’albo in un’estate. Ricordo gli amici che chiamavano per andare al mare e io lì a sudare, domeniche comprese. Con
Antonio c’è stata subito un’intesa perfetta, puntualmente ripetuta in
tutte le storie che abbiamo fatto assieme. Credo si possa anche percepire,
leggendole.
Nel corso degli anni hai lavorato per entrambe le collane ambientate nell’universo dell’agente Alfa. A cosa è dovuta questa tua “precarietà”?
Il trasferimento a Legs fu dovuto a una maggiore affinità stilistica e anche, credo, a questioni di programmazione: l’albo doveva essere pronto in tempi “brevi” e io ormai mi ero fatto la fama di quello veloce e affidabile. Ho un bel ricordo del Legs: io e De Angelis ci siamo divisi per un po’ una scrivania in via Buonarroti, lui a correre per finire il primo Nathaneverone e io “La donna che sapeva troppo". Il posacenere sembrava uno di quelli che Miyazaki disegna nei suoi episodi di Lupin III: zeppo all’inverosimile di cicche spente e mezze fumate. Quanto allo stile, ormai ho imparato ad essere sufficientemente realistico da poter affrontare storie “serie” ma per inclinazione naturale sarei molto più caricaturale; Legs mi ha permesso, e in dosi sempre maggiori, di ricorrere a soluzioni e “trovate” inammissibili su Nathan. Il punto d’arrivo in questo senso penso sia Legs alle olimpiadi.
Ah! “Legs alle
olimpiadi” è proprio una della mie storie preferite, insieme all’unica
che il tuo “collega di cicche” Roberto De Angelis ha mai disegnato per
la formosa Agente Alfa. La tua collaborazione nello staff di Nathan Never e
Legs ha portato alla produzione complessiva di 7 albi appartenenti alle
collane regolari e tre volumi fuori serie. Mi piacerebbe parlare, in
particolare, proprio di uno di questi speciali. Ovvio che faccio riferimento
allo speciale Legs n.4, l’immortale, un albo che ha la peculiarità di
essere interamente realizzato da te e che, confesso, a suo tempo mi
impressionò positivamente. Leggendo alcune tue recenti interviste (in
particolare quella già citata e molto ben fatta pubblicata su Lo Spazio
Bianco)
ho scoperto che a te, però, la realizzazione di quell’albo non ha dato
particolari soddisfazioni, al punto di spingerti a decidere di abbandonare
la sceneggiatura. Mi potresti spiegare perché?
Perché
se uno si rende conto che nel tempo impiegato a scrivere e farsi approvare
una pagina di sceneggiatura poteva disegnarne due, prima o poi si arrende.
Era un’idea che mi piaceva molto ma forse poco adatta a Legs: un racconto
sulla morte … oltretutto cercai di compensare affidando una parte
decisamente comica a May ma mantenere l’equilibrio tra questa
“faccia” della storia e quella affidata a Legs, drammatica e
quasi teatrale, era al di là delle mie capacità.
Alla base della trama
avventurosa di questo speciale c’è la leggenda di Gilgamesh
l’immortale. Cosa ti affascina di questa leggenda?
L’idea di non accettare la propria natura. Di non essere in grado di affrontare quello che si è e fuggire, e in questa fuga magari cercare avversità indicibili, nemici possenti, calamità e catastrofi che hanno in realtà solo la funzione di anestetizzare la coscienza. Mi piace una battuta del film il Gladiatore: la morte sorride a tutti, la sola cosa che si può fare è sorriderle di rimando. Per
inciso: nell’epopea omonima Gilgamesh non ottiene l’immortalità. Una
volta arrivato da Utnapistim, l’immortale, gli viene spiegato che non è
cosa per gli uomini. E alla fine muore, diversamente da quello che ho
immaginato io nello speciale.
Da lettore, sinceramente,
non ho accusato alcunché riguardo il tuo travaglio nella realizzazione di
questa storia. Che tipo di reazioni ha suscitato negli altri lettori la
pubblicazione de “L’immortale”?
Non
ne ho la più pallida idea. Su UBC mi sembra che la recensione fosse stata
abbastanza positiva, comunque.
In ogni caso mi sembra di capire che il tuo principale problema sia stato quello di dover gestire personaggi che non appartenevano a te (dove con senso di appartenenza intendo dire che non essendo frutto della tua fantasia non riuscivi ad identificarti completamente con loro), dunque non rigetti lo scrivere storie, ma preferiresti farlo con personaggi creati da te (non a caso sei co-autore di Morgana). Ti vedremo nuovamente all’opera, in solitaria, ai testi?
E’ vero, preferisco scrivere di creature mie. Però mi dispiace di questa mia mancanza con Legs, è un personaggio a cui sono molto affezionato e che credo di conoscere bene. In
effetti dopo aver accettato di lavorare su Redhand e occupandomi solo della
realizzazione grafica mi piacerebbe “compensare” e proporre un soggetto
in qualità di sceneggiatore agli Humanoids. Purtroppo mi manca il tempo per
farlo. A tempo “perso” sto buttando giù qualche idea per una serie mia
da fare “in solitaria”, comunque … tra qualche anno.
Poche settimane fa hai
annunciato una momentanea interruzione della tua produzione in casa Bonelli
per dedicarti a tempo pieno alla tua collaborazione con gli Umanoidi
Associati. Come sei entrato in contatto con questo storico editore Francese?
Gli
ho scritto una mail prima di andare a Angouleme. A volte le cose sono più
semplici di quanto ci si immagini.
La tua prima
collaborazione con gli UA è stato il primo volume della serie Morgana,
realizzato in coppia con Luca Enoch. Morgana che riscontro ha avuto da parte
del pubblico, ed in particolare da parte del pubblico che era abituato a
seguirti sulle collane Bonelli?
Non lo so! So che Pavesio è contento di come vanno le vendite ma quello italiano è un mercato piccolissimo per i cartonati alla francese e, credo, con un pubblico molto diverso da quello dei lettori delle collane Bonelli. Per darti un’idea: Pavesio è contento di aver venduto mille copie quando in Francia, e va considerato che è il nostro primo albo e siamo completamente sconosciuti, abbiamo superato le tredicimila (e non sono mica tante, lì). Sarei curioso di saperlo però: lettori, se ci siete battete un colpo!
Il tuo secondo progetto con gli Umanoidi, invece, è realizzato in coppia con Kurt Busiek (altro autore proveniente dal fumetto popolare). Ci racconti come è nato REDHAND?
A quanto ho capito Redhand aspettava un disegnatore già da un paio d’anni e credo nasca dal desiderio di Kurt di provare qualcosa di nuovo, forse più maturo e meno legato agli schemi tipici dei comics e ai limiti dell’American Comics Code. Tutto sommato motivazioni molto simili a quelle che hanno spinto me a “espatriare”. A un certo punto gli Humanoids hanno deciso di monopolizzare la mia produzione e mi hanno fatto delle offerte, Redhand era quella giusta. E vorrei vedere: rinunciare all’opportunità di lavorare con uno del calibro di Kurt Busiek sarebbe folle. Parola del Serra! E così mi hanno mandato il progetto della serie con le cose scritte da Kurt e da allora ci stiamo rimbalzando idee, schizzi, suggerimenti…mi sto divertendo un bel po’ e penso ne verrà fuori una cosa bella. Delle prime tavole sono veramente soddisfatto.
E lo dico pure io: rinunciare all’opportunità di lavorare con Busiek (attualmente amatissimo dai fans d’oltreoceano grazie al suo Conan e soprattutto al mega crossover Avengers/JLA) sarebbe davvero folle! Come è la tua intesa con Busiek? Che tipo di sceneggiature ti fornisce?
Purtroppo possiamo scambiarci materiale solo via e-mail e non abbiamo ancora avuto l’occasione di incontrarci ma le cose filano che è una bellezza e mi sembra si stia formando un rapporto molto aperto e dinamico in cui sceneggiatura e disegni migliorano e si sviluppano grazie al contributo dell’altro. Quello che colpisce della sceneggiatura è il senso del ritmo. Veloce e diretto, la lettura fila che è una meraviglia. Dal
punto di vista formale la sceneggiatura è molto simile a quelle a cui mi ha
abituato la Bonelli: dialoghi e un accenno all’ambientazione. In alcuni
casi Kurt aveva un’idea molto precisa di come fare un ambiente e la
descrizione è più dettagliata. Il numero delle vignette è definito e
anche se sono libero di togliere e aggiungere non ne ho sentito ancora
l’esigenza.
Non trovi che sia abbastanza triste che in Italia non c’è assolutamente mercato per prodotti che non siano di puro stampo bonelliano? Mi spiego meglio: personalmente trovo che sia abbastanza triste che un autore italiano, stanco di una produzione seriale in bianco e nero, debba, pur di lavorare ad un qualcosa di più autoriale e personale, necessariamente “emigrare” all’estero. Tu cosa ne pensi?
Penso sia sbagliato definire più autoriale e personale un formato piuttosto che un altro. Ci sono diversi mercati, definiti da domanda e offerta diverse, a cui corrispondono diversi prodotti. Mi sembra figlia dell’onnipresente esterofilia nostrana questa distinzione, quasi tra “bello” e “brutto”, tra fumetto e bande dessinee o comics o manga. Ti piace una cosa, leggi quella nel caso di un lettore o scrivi/disegni quell’altra nel caso di un autore. Nel mio caso, Morgana è pensata per essere una bande dessinee non un fumetto (se mi è consentito usare i nomi stranieri per qualificare un formato “tipico”). Un
problema diverso e più grave è: quanto si legge in Italia? Sarebbe triste,
questo sì, scoprire che si legge troppo poco e che quel poco è roba di
basso profilo. Ma a questo punto il discorso si allarga, lascia l’ambito
ristretto dei fumetti e diventa di competenza di altri che non sono, se non
in minima parte autori e editori. Come invitavo su “lospaziobianco”:
parliamo di scuole.
Quali sono le differenze sostanziali tra il lavorare ad una avventura di Legs ed un episodio di Morgana o Redhand?
Be’,
sono tutti e tre fumetti ma le somiglianze si fermano qui e la lista delle
differenze sarebbe davvero lunga e degna di uno studio sulle tipicità
locali. Una roba da proporre un D.O.P. anche per i fumetti! Al
di là del fatto che di Legs e Redhand non sono lo sceneggiatore mentre di
Morgana sono co-autore dei testi con Luca Enoch, le differenze sono legate
alle specificità dei fumetti, bande dessinee e comics. Legs
è in bianco e nero, gli altri due sono a colori. La differenza di
impostazione tra bianco e nero e colore è enorme e ancora più accentuata
dal fatto che in Morgana il nero (ci sono ragioni narrative per questa
scelta che saranno chiare, ai mooolto attenti, nel quarto volume!) è
praticamente assente. In bianco e nero la composizione della vignetta deve
essere molto precisa, il colore può togliere d’impaccio composizioni poco
chiare. Trovo che il bianco e nero sia più elegante e disciplinato. Per
quanto Legs garantisca una certa libertà, la griglia “bonelliana”
rimane sempre il riferimento da cui non si scappa e certe scelte (vignette
al vivo o che occupano una doppia pagina) non sono consentite. Non amo molto
le impaginazioni che sacrificano la leggibilità alla spettacolarità ma un
po’ di libertà non guasta e può anche dare più forza a certe scene. Il
personaggio di una serie Bonelli è disegnato e scritto da più persone, una
serie come Morgana o Redhand sarà scritta e disegnata sempre dalle stesse
persone. La prima è aperta, non se ne vede la fine mentre delle altre ci
saranno n. episodi e la fine. Questo non influisce poco sull’evoluzione di
ogni aspetto, grafico e narrativo, interpretativo del personaggio. Nella
prima può essere mutevole, attraversare addirittura dei “periodi”
mentre nella seconda è fisso e determinato esclusivamente dal dipanarsi
della storia verso il suo finale. Ma
più che le differenze mi sembra importante dire che i fumetti raccontano
tutti una storia. Il fumetto è un linguaggio e la storia è il suo fulcro,
e se è una storia che vale la pena di leggere vuole essere raccontata in
modo chiaro e comprensibile. Emozionante, divertente, magari spettacolare ma
sempre limpido e diretto. E’ un buon fumetto quello che riesce in questo
scopo, indipendentemente dalla nazionalità di chi l’ha concepito e dal
formato scelto.
Inutile dire che concordo
pienamente con questa tua ultima affermazione. Il fumetto, non solo è un
linguaggio, ma è un linguaggio universale, accessibile a tutti. A questo
punto, però, la domanda sorge spontanea: decidendo di lavorare per gli
Umanoidi, hai optato per una scuola di fumetto, per un linguaggio anziché per un altro?
No,
il linguaggio è lo stesso. Esistono diversi “tipi” di fumetti, come
esistono le serie, i romanzi, i racconti, le favole e quant’altro in
letteratura. Sull’universalità/accessibilità mi permetto di fare una
distinzione: il fumetto è sì un linguaggio le cui regole di lettura sono
semplici da apprendere, il che ne fa un veicolo adatto a raggiungere un
pubblico molto vasto e di diversa formazione culturale ma ciò che può
essere più o meno accessibile è il contenuto. Non confondiamo il mezzo con
il fine. Il mezzo è il linguaggio, il fine è la storia. La storia può
essere anche enormemente complessa e richiedere un grosso sforzo di
comprensione al lettore. Possono esserci diverse “chiavi” di lettura,
proprio come accade in ogni altra forma di “racconto”, dando al termine
il significato più ampio. I limiti di leggibilità e comprensibiltà non
sono quindi del mezzo, se usato nel modo giusto, ma del contenuto. Dire il
contrario sarebbe attribuire al fumetto dei limiti che, a mio avviso, non ci
sono.
Sarai tu a realizzare la colorazione di Morgana e Red Hand? Sì.
Che strumenti utilizzerai per colorare le tue tavole? E quanto tempi impieghi per colorare una singola tavola?
Photoshop.
Anche qui dipende ma ci vogliono almeno uno/due giorni. Sto ancora facendo
pratica ma va già meglio rispetto la settimana che mi ci voleva all'inizio.
Il bello del computer è che permette di tornare indietro e provare altre
soluzioni...che è anche il suo brutto se sei un eterno insoddisfatto come
me. Morgana sarà una serie
strutturata, se ricordo bene, in dieci episodi. Sai già quanti episodi
saranno previsti per RED HAND?
No.
Io mi sono impegnato per tre, per il momento.
Prima mi hai detto che nel realizzare storie bonelliane eri diventato velocissimo. Quanto impieghi adesso per realizzare una tavola completa?
Dipende
molto dalla sceneggiatura e dalla quantità di materiale da preparare prima
della realizzazione vera e propria ma, tolto quello, direi che mi sono
assestato su una pagina al giorno. In caso di necessità e grazie all’
esperienza di questi anni, posso arrivare a una pagina e mezza.
L’ingresso nello staff di collaboratori degli umanoidi è senza ombra di dubbio un ottimo biglietto di presentazione per il mercato dei comics. Che reazione avresti se, dopo la pubblicazione di Red Hand, ti venisse offerta la possibilità di lavorare sulla collana di un super eroe? Accetteresti? E nel caso, su quale icona del mercato superomistico ti piacerebbe lavorare?
Non
accetterei ma sarebbe bellissimissimo fare UN Uomo Ragno.
Perché non accetteresti?
Leggevo
l'Uomo Ragno da piccolo e per questo ne disegnerei volentieri una storia.
Sarebbe una cosa affettiva, come disegnare una storia di Paperinik (non
posso permettermi di dire che lo farei gratis, però sarebbe davvero
divertente se non dovessi prima imparare a disegnare alla "disney").
Ma non leggo i comics, ne possiedo alcuni presi solo per i disegni; le
storie le ho "leggiucchiate" e mi sembrano praticamente
inesistenti, non ci vedo molte attrattive. Magari se lo sceneggiatore fosse
Kurt, però... Il
fatto è che già Redhand è un eccezione e lo vivo come una
"retrocessione" al ruolo di disegnatore. Mi piacerebbe arrivare ad
essere considerato un autore completo e preferisco lavorare in questa
direzione.
La tua professione è frutto della tua passione per i fumetti, attualmente sei ancora un lettore/appassionato di fumetti? Quali autori e personaggi segui?
Purtroppo ormai leggo pochissimo, il tempo mi manca. Dei Bonelliani seguo Dampyr, Jonathan e Gea. Per il resto, cerco di informarmi sulle novità e sfogliare quanta più roba mi capiti a tiro. C’è tantissimo fumetto scadente ma le cose da cui imparare non mancano mai, per fortuna. L’ultima da cui mi sono lasciato affascinare è stato Blame!
Credo di averti tartassato
oltremodo … vuoi aggiungere qualcosa?
Grazie
e ciao! Mario La redazione di AmazingComics.it ringrazia Mario Alberti per l'incredibile gentilezza e disponibilità che ha dimostrato nei nostri confronti
(3/12/2003)
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