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John Doe n°1 di Daniele D'Aquino
E’
sempre difficile recensire il primo numero di una serie, perché il #1 non
è un albo qualsiasi. Deve presentare il protagonista, i comprimari,
l’ambientazione e soprattutto catturare l’interesse e la fedeltà del
lettore. Il
numero uno è un po’ come il tassello di un cocomero: se ci piace
compriamo l’intera anguria, altrimenti cambiamo venditore (scusate il
paragone, sarà colpa di queste giornate canicolari!). “La
morte, l’universo e tutto quanto” è un tassello rinfrescante e
gustoso. Piace l’impianto narrativo messo su dalla collaudata coppia
Bartoli&Recchioni:
la Morte vista come organizzazione burocratica non è un’idea
originalissima (già vista su Dylan Dog), ma convince il connubio tra
realismo e allegoria. La serie, così come è stata congegnata, offre
potenzialità enormi, che speriamo i due autori sappiano sfruttare
appieno. Interessante
la caratterizzazione di John, eroe al punto giusto e uomo dalle mille
risorse. I favori che gli deve la gente sono diventati già un tormentone
e costituiscono un ottimo espediente che sarà ampiamente usato in futuro
per sbrogliare intricate matasse. Anche le figure che gli sono vicine sono
ben definite, a cominciare da Tempo, deliziosa biondina con cui il
Nostro non disdegna di trascorrere qualche minuto (sembra un’eternità…). Insomma,
la prima impressione è più che positiva, anche se non manca qualche
difettuccio. Di solito il primo numero si contraddistingue per la tanta
carne messa al fuoco che fatica a entrare nelle 94 pagine. Qui invece mi
sembra accada il contrario, con molte vignette che fanno da riempitivo;
forse gli sceneggiatori romani si sono conservati un po’ di cartucce
anche per i prossimi numeri. Ma
la pecca più sostanziale è costituita dal deus ex machina del sogno
rivelatore, artificio scorretto e ormai logoro. Bisognerebbe raccogliere
le firme per impedirne l’uso! Passiamo
ora ai disegni. Nel complesso la prova di Emiliano
Mammucari mi è
parsa abbastanza buona. Sono passati tre anni da “Il dono nero”, la
cupa miniserie della Montego (testi di Bilotta), che lo aveva fatto
conoscere al pubblico. Il suo tratto è sempre sintetico, quasi abbozzato
e funzionale, ma in questo tempo è diventato più classico (datato?) e
leggibile, perdendo in personalità. Mi ha meravigliato comunque la scelta
di Mammucari come disegnatore del numero uno, poiché, a prescindere dalle
doti, non si può certo dire che abbia uno stile accattivante. La
sua interpretazione di John è meno tamarra di quella fornita da Massimo
Carnevale (bella e ruffiana la sua copertina), ma comunque
apprezzabile, così come l’espressività di tutti i personaggi. Meritano
una menzione le quattro tavole a mezzatinta del sogno sopraccitato,
davvero ben realizzate. Venendo agli aspetti più negativi, in primis ci sono alcune tavole tirate via, con un’inchiostrazione imprecisa e frettolosa (la pessima qualità della carta e della stampa peggiorano le cose). Inoltre è da segnalare (rimproverare) l’utilizzo un po’ troppo frequente della fotocopiatrice, colpa da condividere con Recchioni. A pag. 60 troviamo tre primi piani identici di un John meditabondo, la prima vignetta di pag. 13 viene ingrandita e riprodotta fedelmente a pag. 43, il palazzo della Trapassati Inc. appare per tre volte sempre uguale. Inquadrature diverse non avrebbero guastato. Chiudo
elogiando la scelta di destinare ben tre pagine alle rubriche: una
riservata al rapporto con i lettori, le altre due ai profili degli autori
e ai retroscena sull’albo. Speriamo che la terza di copertina non venga
presto sacrificata per motivi promozionali. Tirando le somme, questo esordio dell’Eura nel monografico mensile con un team completamente italiano, ha secondo me tutte le carte in regola per resistere a lungo nell’agone delle edicole. Io glielo auguro di tutto cuore e credo proprio che comprerò l’intero cocomero.
(10/62003)
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